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Il conflitto israelo-palestinese, la parola ad Israele


Mercoledì 6 marzo si è svolto nell’aula magna del nostro istituto un incontro col giornalista freelance italo-israeliano Michael Sfaradi, il quale, dopo aver messo in guardia contro i rischi della disinformazione di cui molti giornali anche italiani si nutrono, si è concentrato sulle tensioni in Medio Oriente e il conflitto in Palestina. Tutto è nato da una polemica che il giornalista ha portato avanti con il Comune di Udine, responsabile a suo dire di aver dato spazio ad una serie di incontri sulla questione palestinese che tendevano a demonizzare il comportamento di Israele; quello che chiedeva era semplice: un’occasione per difenderne le ragioni, in pratica una vera pluralità di voci. Dunque, siccome già aveva dato spazio ad una conferenza dell’organizzazione ISM Italia (attivisti pro Palestina), il nostro liceo ha deciso di dare spazio anche a Sfaradi. Quest’ultimo ha voluto focalizzare l’attenzione su due punti principali nel corso della sua apologia dell’operato del governo di Gerusalemme: il suo diritto a difendersi dagli attacchi e la sostanziale e errata avversione dell’opinione pubblica internazionale nei suoi confronti.
Nel primo caso la discussione si è concentrata sul famoso “muro della vergogna”, definito da Sfaradi muro della vita (non senza proteste da parte del pubblico), una lunga barriera di separazione edificata dal governo israeliano a partire dal 2000 per impedire l’ingresso nel proprio territorio di terroristi palestinesi. Le maggiori critiche a questa opera riguardano il suo tragitto e le modalità con cui è stato eretto. La sua costruzione avrebbe difatti dovuto seguire la cosiddetta linea verde, ovvero il confine dello Stato di Israele prima del 1967, anno in cui con la guerra dei sei giorni questo fu notevolmente ampliato. Invece, come testimoniato da alcune sentenze della Corte Suprema israeliana, le fortificazioni, lunghe oltre 700 km, hanno più volte finito per espropriare terre che sarebbero dovute essere sotto l’autorità palestinese, comprese quelle definite da Sfaradi non discusse, molto probabilmente riferite alle colonie in costruzione in territorio palestinese contro il parere unanime della comunità internazionale. Sul come sia stato innalzata questa barriera poi, molte sono state le polemiche per l’arbitrarietà delle decisioni prese dall’esercito israeliano a cui è affidata l’opera. Come nel caso del villaggio palestinese di Nazlat ‘Isa, in Cisgiordania, dove i soldati hanno demolito 63 negozi per fare spazio alle ruspe dando ai proprietari un preavviso di soli 30 minuti prima dell’espropriazione. Altra problematica correlata al muro della vergogna o della vita, a seconda di come lo si voglia chiamare, è poi la questione delle risorse idriche. La barriera di fatto impedisce a molti palestinesi l’accesso ai pozzi e alle fonti dalle quali prima si rifornivano; a questa obiezione Sfaradi ha risposto ricordando che il suo Paese assicura all’Anp, come ad altri Stati arabi dell’area,  abbondanti forniture d’acqua. Pur ammettendo però la magnanimità di Israele, le sue scelte non rappresentano comunque un atto di autorità illegittimo su territori non di sua competenza? Con la scusa di fornire acqua ai palestinesi non si sta forse arrogando il diritto di amministrare a suo piacimento ciò che i trattati hanno attribuito alla Cisgiordania?
Contro questi atti di “prepotenza istituzionale” più volte si è schierata l’ONU, anche se mai in maniera davvero concreta, ed è proprio questo il secondo bersaglio delle critiche del giornalista italo-israeliano, il quale l’ha definita un’organizzazione da riformare. Questo perché, a suo dire, si accanisce spesso ingiustamente contro le decisioni di Gerusalemme, tanto che, ad oggi, il 92% delle risoluzioni adottate dall’Assemblea delle Nazioni Unite sono condanne ad Israele. Se però per molti versi è vero che questo organismo è inefficace ed andrebbe riformato, non si può di certo negare che il Medio Oriente è attualmente l’ombelico del mondo e dunque non è incomprensibile una particolare attenzione ai fatti della regione. Inoltre, e noi italiani dovremmo saperlo bene, gridare alla persecuzione giudiziaria è patetico se poi le accuse si rivelano fondate.
In conclusione sono stati quindi questi i punti essenziali del discorso di Sfaradi, il quale ha dimostrato una lodevole disponibilità al confronto, ma ha convinto poco la platea con le proprie considerazioni. È però necessario un appunto: quello arabo-israeliano è a tutti gli effetti uno dei conflitti più lunghi e sanguinosi dell’ultimo secolo.  Ha già causato quasi centomila morti, ancora non si intravede un possibile accordo e a pagare le spese di questa guerra sono sempre gli stessi: i civili, dell’una e dell’altra parte. Per questo non bisogna mai perdere di vista il fine ultimo del dibattito: l’ottenimento di una pace duratura. Tale pace, benché possa apparire utopistica, è realizzabile, ma non sarà raggiunta rimanendo inamovibili sulle proprie posizioni o rivangando i torti subiti e commessi, bensì solo deponendo le armi e sedendosi ad un tavolo per creare uno Stato unico che superi gli asti e unisca al suo interno religioni ed etnie differenti.

Saverio Papa 4^G

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