“Ma
cos’è la destra, cos’è la sinistra?” si domandava Giorgio Gaber nel 1994 in una
sua celebre canzone. Se il cantante fosse ancora vivo al giorno d’oggi sarebbe
probabilmente ancora più confuso. I vari
partiti politici del panorama italiano, infatti, sembrano distaccarsi dai loro valori
storici e dalle basi ideologiche e non rientrare pienamente in nessuna
categoria politica.
La prima incongruenza tra ideologie fondanti e agenda politica si può
individuare nel Partito Democratico di Matteo Renzi. Si tratta di una forza
politica di centro sinistra (non dimentichiamoci che in Europa aderisce al
Partito Socialista Europeo) e si basa
quindi sul valore dell’uguaglianza sociale tra i cittadini. E in questa lotta
per le pari opportunità e i diritti degli ultimi non stupisce che la sinistra
abbia storicamente fatto forza comune con i sindacati, protettori dei
lavoratori. Tuttavia, di recente, questo connubio sembra essersi incrinato. La
riforma del lavoro proposta dal Governo contiene l’abolizione dell’Articolo 18
dello Statuto dei Lavoratori (1970) che, tra le altre, garantisce il reintegro
dei lavoratori nel caso in cui essi siano stati licenziati per ragioni
discriminatorie (che devono essere confermate dalla magistratura). Emendamento
che non va giù ai sindacati, primi tra tutti la CGIL di Susanna Camusso, ma
Renzi non vuole scendere a compromessi con l’antico alleato del suo partito e
anzi gli si rivolge in tono quasi sprezzante: “noi siamo disposti ad ascoltare
ma se vogliono fare le leggi si facciano eleggere”. A peggiorare la già tesa
situazione si sono aggiunte le parole dal finanziere Davide Serra pronunciate
in sede Leopolda: “lo sciopero non è un diritto, è un costo! Smettete di
lavorare? E io me ne vado a investire altrove!”. Parole che non ci si aspetta
di sentire in una convention organizzata dal leader di un partito di sinistra.
Anche il PDL ultimamente sembra aver assunto alcune posizioni politiche quanto
meno inaspettate. Un paio di anni fa, Berlusconi affermava “Meglio avere la
passione per le belle donne che essere gay”, una battuta infelice che
dimostrava quantomeno un suo poco riguardo verso gli omosessuali. Omofoba anche
la posizione dell’ex deputato PDL Carlo Giovanardi, famoso per aver paragonato
la vista di due lesbiche che si baciano per strada a quella di un individuo che
urina in pubblico. Questo stesso partito è ora a favore delle unioni civili tra
omosessuali, e anzi Berlusconi se ne fa convinto paladino, come testimonia la
sua cena con Vladimir Luxuria e il famoso selfie pubblicato sul twitter
dell’attivista che suggella questa nuova ed improbabile alleanza. Anche la
recente apertura di Berlusconi a discutere il diritto di cittadinanza tramite
nascita in Italia (ius soli)
rappresenta una sorpresa quando poco tempo fa il PDL, alleato con la Lega, fece
approvare la legge Bossi-Fini, che aggravava il reato di clandestinità e
promuoveva un più aspro controllo delle frontiere.
Cosa dire poi dei nuovi approcci del sempre più popolare leader della Lega Nord
Matteo Salvini? Pare che il leader stia cercando di rinnovare l’immagine del
partito, accantonando la componente “padana” che il nome suggerisce, e puntando
sull’antieuropeismo e sulla lotta all’immigrazione (“stop invasione” il nuovo
slogan), temi che possono coinvolgere anche i meridionali. E pare che la sua tecnica funzioni: a Maletto,
paesino del Catanese, la lega è stato il primo partito nelle elezioni del 2014.
Inoltre, non ci si aspetterebbe di trovare il termine “comunista padano”
affibbiato al leader di un partito di destra, che si è guadagnato l’appellativo
in un’intervista alle iene dicendo “mi sento molto più a fianco degli operai io
che quel banchiere di Renzi”.
Ancora più indefinita è la posizione del Movimento Cinque Stelle, che sembra rientrare in categorie diverse a seconda della tematica considerata. Le sue posizioni a riguardo dell’immigrazione, per esempio, sembrano suggerire un orientamento di destra, mentre le politiche ambientali, come la lotta al TAV potrebbero collocarlo a sinistra.
L’ambiguità del panorama politico italiano in questo periodo è palese, meno chiare sono le cause alla base di tali anomalie. E’ indubbio che in un periodo di crisi economica le aspettative del popolo siano mutevoli ed imprevedibili, e le varie forze politiche cercano di captarle e agire di conseguenza. Sembra che a muovere i diversi partiti sia ancora una volta l’opportunismo politico, la voglia di ottenere l’approvazione (e i voti) del maggior numero di elettori possibili. Via libera ai compromessi, agli improbabili cambi di idee, alle affermazioni contraddittorie. D’altronde la politica è l’arte del possibile.
Tuttavia, se dobbiamo accantonare le ideologie e aprire le porte alle azioni concrete, che si vedano almeno i risultati di questa politica “del fare”. L’opportunismo politico è giustificabile se finalizzato all’ottenimento di risultati, siano essi una legge elettorale funzionante o delle riforme strutturali. Il fine giustifica i mezzi solo se il fine è una soluzione alla crisi italiana, l’uscita da una situazione di grave paralisi. Se invece l’obbiettivo è quello di ottenere abbastanza voti da assicurarsi una poltrona, il rinnovamento tanto decantato della politica italiana è ancora lontano e il futuro del nostro paese si prospetta poco roseo.
Matteo Renzi alla sua convention |
Francesca Pascale, Silvio Berlusoni, Vladimir Luxuria |
La copertina del settimanale "Oggi" del 2 dicembre |
Ancora più indefinita è la posizione del Movimento Cinque Stelle, che sembra rientrare in categorie diverse a seconda della tematica considerata. Le sue posizioni a riguardo dell’immigrazione, per esempio, sembrano suggerire un orientamento di destra, mentre le politiche ambientali, come la lotta al TAV potrebbero collocarlo a sinistra.
L’ambiguità del panorama politico italiano in questo periodo è palese, meno chiare sono le cause alla base di tali anomalie. E’ indubbio che in un periodo di crisi economica le aspettative del popolo siano mutevoli ed imprevedibili, e le varie forze politiche cercano di captarle e agire di conseguenza. Sembra che a muovere i diversi partiti sia ancora una volta l’opportunismo politico, la voglia di ottenere l’approvazione (e i voti) del maggior numero di elettori possibili. Via libera ai compromessi, agli improbabili cambi di idee, alle affermazioni contraddittorie. D’altronde la politica è l’arte del possibile.
Tuttavia, se dobbiamo accantonare le ideologie e aprire le porte alle azioni concrete, che si vedano almeno i risultati di questa politica “del fare”. L’opportunismo politico è giustificabile se finalizzato all’ottenimento di risultati, siano essi una legge elettorale funzionante o delle riforme strutturali. Il fine giustifica i mezzi solo se il fine è una soluzione alla crisi italiana, l’uscita da una situazione di grave paralisi. Se invece l’obbiettivo è quello di ottenere abbastanza voti da assicurarsi una poltrona, il rinnovamento tanto decantato della politica italiana è ancora lontano e il futuro del nostro paese si prospetta poco roseo.
Elias Ngombwa 5^I
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