L’espressione che lo scrittore Rella usa parlando di “anomalia periferica” evidenzia un’anomalia esterna, non così essenziale. Periferica, “marginale”, ma non necessariamente meno importante. Centro e periferia formano un tutt’uno creando la città che, come afferma Aristotele, “è stata creata dall’uomo per vivere bene assieme”.
Giungere ad abbattere il dualismo centro-periferia può aiutare a riappacificare l’anima con il nostro corpo. L’uomo stesso è centro e periferia di un unico ente, come dice Portoghesi nel suo “Riprogettare le città”, la periferia è il luogo in cui rispecchiare noi stessi e dev’essere guardata con quel sentimento umanistico della “pietas”, ovvero con amore. La periferia va curata come fosse una nostra coetanea che, in qualche modo, potrebbe rispecchiare il prodotto delle nostre illusioni ed intenzioni mai realizzate.
Vittorini è uno dei sostenitori di questo dualismo, in quanto vede il centro come spazio ben strutturato, sedimentato, mentre vede la periferia come spazio casuale ed incompiuto.
Ma proviamo a giocare sui punti di vista: quello centrale è tutt’altro che ben strutturato e, in quanto focalizzato solo su un aspetto, giunge ad essere quasi egoistico. Infatti, sin dai tempi antichi troviamo esempi di faraoni, despoti e sovrani assoluti che vivono nel lusso e nell’agiatezza che la città offre e cui solo loro possono attingere alla stregua del resto della popolazione; lo sguardo periferico, invece, offre una visione d’insieme che tiene conto delle condizioni “dei più”. Quindi i ruoli giungerebbero quasi a scambiarsi o ad essere ambivalenti.
Lo scrittore musicista Paco Taibo scrive che non esiste più il concetto di periferia ma che è il centro stesso ad essersi sdoppiato e spostato altrove.
Infatti, tutti i luoghi hanno un centro ma, se il luogo viene inteso come spazio dentro cui tutto assume un suo significato, alla maniera di Augé, la periferia non tarda a diventare un non luogo.
Ma cos’è esattamente un “non luogo”? Non può non essere in quanto presente fisicamente. È forse l’opposto del luogo? Forse, ma se nel luogo è possibile leggere la struttura sociale attraverso l’organizzazione dello spazio, ciò è fattibile anche nel non luogo.
Tuttavia luogo e non luogo non sono altro che barriere mentali che deviano i fatti dalla realtà.
Per una persona agiata la periferia è un non luogo, ma per molte altre persone la banlieux, ad esempio, è l’unico luogo, l’unica salvezza.
Nella frizzante commedia musicale intitolata “Notre Dames des Banlieus”, messa in scena dalla compagnia teatrale “France Theatre”, uno dei protagonisti afferma che: “il passato condiziona il presente e nella Banlieux ogni cosa ha il suo peso”. Purtroppo, al giorno d’oggi, molti ragazzi vivono poco serenamente l’ambiente periferico a causa dei pregiudizi, ma anche del loro vissuto. “Ballo per dimenticare”, afferma un’amica del protagonista, “se la musica si ferma, è la fine”.
Ma ecco che affiora uno dei capisaldi di collegamento tra centro e periferia. La sfera artistico-musicale è la più sincera e la più disponibile ad accettare la realtà.
Molti stili come il rap, l’hip hop, la street dance, non sarebbero mai nati senza la periferia che funge quindi da oggetto di sfogo ma anche da spettatore di tutti quei silenzi che la nostra società di “creatori distruttori”, come ci definisce Victor Hugo, mette in gioco giorno dopo giorno.
Efficace risulta, quindi, l’idea di una periferica centralità, in quanto, solamente l’unione di tutti gli aspetti che ci circondano fondano il connubio perfetto per vivere serenamente.
La periferia non è necessariamente solo “cittadina”, potrebbe essere anche una periferia letteraria caratterizzata, ad esempio, dai giornalisti che passano alla stesura di cronache o dai settecenteschi scrittori degli “avvisi” che creano il giornale; oppure potrebbe essere una periferia dell’anima che, non sarebbe da intendere come luogo in cui abbandonare ciò che non ci serve più, ma come prezioso cassetto in cui contenere i sogni più grandi.
Giudicare
le periferie dimostra ignoranza. Ignoranza verso le periferie ma
anche verso la città stessa in cui viviamo. Essendo troppo presi da
noi stessi tralasciamo il nostro habitat. Gli esseri primitivi
vivevano in un tutt’uno con la natura, perché quella era la loro
realtà. La frenesia odierna ci porta a perdere la consapevolezza
delle nostre azioni, a vivere in un “mondo di carta” basato su
idee di altre persone e a “demolire i mostri di cemento nelle
periferie”, come afferma Piani, che rappresentano la nostra
salvezza ma anche quella dei nostri fratelli.
Cominciando
a capire la città giungeremo a comprendere la periferia e, dopo
averle analizzate entrambe, scopriremmo forse che sono complementari.
O forse no.
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