Si parla di giustizia e di
diritti, fantasticando su utopiche paci laddove vige eterna la guerra e su come
conseguirle. Si parla di crisi, con l’ottimismo ingenuo di chi si incaponisce
sperando che il modello liberista si possa ancora salvare. Si parla di tutti i
“grattacapi universali”, affrontandoli con un ideologismo di fondo
terribilmente limitante. Accomodati nelle loro morbide poltrone, i potenti capi
di Stato europei se la spassano con i propri colleghi americani – amici
veramente? -, rimanendo fortemente
affezionati alla mera illusione di un’ Europa al centro del mondo, un sistema eurocentrico allettante, ma conclusosi
ormai da tempo.
Conclusosi per tutti in
maniera inequivocabile, tranne proprio per chi possiede le redini del Vecchio
Continente, per chi dovrebbe sapere cosa fare e che ruolo avere. Perché, al
giorno d’oggi, che ruolo ha, effettivamente, l’Europa? Dopo esserci lasciati
indietro un secolo dove America e Russia han giocato al gatto e il topo per
contendersi il globo, ora stiamo vivendo l’inquietante e progressivo emergere
di Cina e India. “L’Europa degli Stati e staterelli, l’Europa divisa e divisa
all’interno di ogni suo membro, che celebrava la propria forza mentre “nasceva il secolo americano” scrisse
riguardo al secolo breve Massimo Cacciari. Ed ora nel 2015 la storia si ripete;
più deboli e logorati, ma sempre persuasi da un apparente ego spropositato,
travolti dalle potenze orientali, privi ormai di ogni credibilità, perseveriamo
nel nostro maggior vizio, non smettendo mai di dare lezioni di “diritti umani”
e vantare la nostra potenza a destra e manca. Lezioni che forse sarebbe meglio
ricevere più che dare: infatti la politica estera europea ha innegabilmente
peccato di pavidità e di velleitarismo. In termini semplicisti si può dire che l’Europa non ha mai saputo agire in
situazioni difficoltose.
Prendiamo la macchina del
tempo e trasportiamoci nel non lontanissimo 1995, nella non lontanissima
Bosnia-Erzegovina. In una guerra dove l’Europa ha svolto il ruolo di
“osservatrice impassibile”, mentre esplodevano bombe e venivano ampiamente
violati i tanto celebrati diritti umani, vorrei ricondurmi ad un avvenimento in
particolare, non per sminuire le altre tremende stragi compiute in quei tre
anni, ma per non obliare “il forse peggiore” genocidio del dopo guerra. L’11
luglio dell’anno qui sopra citato, nella
città protetta dall’Onu di Srebrenica
sono penetrati i soldati dell’esercito serbo-bosniaco comandato dal famigerato
e spietato generale Ratko Mladic. Nella città si trovavano circa 8000 civili
bosniaci musulmani maschi dai 12 ai 77 anni. Dopo averli separati dalle donne,
i soldati serbi li hanno sterminati tutti, senza indugio e senza nemmeno una
traccia di quell’umanità che si pensava fosse emersa dopo l’olocausto. “Furono
fondamentalmente abbandonati dalle potenze europee alle pistole serbe” scrive
il filosofo sloveno Slavoj Zizek, una delle menti più affascinanti
contemporanee e uno dei pochi che può comprendere appieno la situazione attuale
dei paesi dell’ex Iugoslavia derivante dagli avvenimenti di quei neri anni . In
ogni caso viene spontaneo pensare; e i caschi blu olandesi li presenti? E
l’intera Europa? Cosa stavano facendo? Guardavano, come al cinema. Peccato che
qui fosse tutto reale.
L’indecenza di tali fatti e
di tali comportamenti riecheggia nella memoria di pochi e per fortuna in Europa
non vi sono molte guerre; sarebbe drammatico,
i potenti preferiscono discutere di ciò che succede in Africa e Asia,
distante da loro,garantendo a tutti un pronto e prossimo intervento. Se succedesse
qualcosa nel nostro territorio sarebbero spaesati e impreparati. Ma il fato
riserva continue sorprese, ed ecco che in Ucraina scoppia un assoluto “casino”
politco-sociale.
L’autocrate aspirante
guerrafondaio Vladimir Putin con le sue azioni di “disegno imperiale” in
Ucraina ha lasciato sbigottiti gli europei, incapaci di reagire. Senza
conoscere appieno l’intera storia e l’influenza della Russia sui paesi slavi,
il Vecchio Continente si è trovato in una trappola-ricatto, tessuta da Putin,
spaventosamente ammirevole. Utilizzare la più piena auctoritas e sanzionare la
Russia, dimostrando così di “non farsi mettere i piedi in testa”, o lasciare
correre e non intervenire perseguendo i propri interessi? Nel primo caso si
avrebbe una conseguenza economica pesantissima, dovendo rinunciare alla
fornitura di gas russa, fondamentale per noi europei. Nel secondo caso si
salverebbe l’economia dei vari stati, ma si perderebbe ogni autorevolezza,
dando l’ennesima prova di non contare più nulla. Ingabbiati e condotti in un
vicolo cieco, ci troviamo in una situazione delicatissima. Ma se l’Europa
avesse mantenuto la sua identità, la sua autorità, e la sua dignità, Putin
avrebbe davvero agito così sfacciatamente sfidandola? Forse no.
Un’interpretazione
superficiale del pensiero del grande Nietzsche, adattandola banalmente al
nostro caso, riflette con nitidezza gli avvenimenti in Europa: infatti, l’idea
della storia ciclica che si ripete sempre, si può rispecchiare nell’analogia
tra la guerra serbo-bosniaca degli anni 90 e la guerra in Ucraina attuale. In
tutti e due i casi abbiamo assistito (e stiamo assistendo) ad un Europa
“inerme” di fronte alle scelte da prendere.
Il “piccolo ma grande”
continente, che è stato la culla delle sviluppo, la radice del mondo, la madre
che ha partorito l’America, si trova oggi a domandarsi: “Chi sono io?” “Impongo
la moneta unica, norme distruttive per alcuni stati, tengo sotto ricatto i più
deboli, ma quando c’è da intervenire su problemi più massicci, cosa devo fare?”
Parlando di stati deboli la
nostra Italia entra subito in scena. Senza un governo stabile, con uno dei
livelli di corruzione più alti, con una crisi che pesa sulle spalle di tutti
gli abitanti, “sanzionare” verbalmente l’Europa e il suo non auxilium
relativamente al problema dell’immigrazione non ci riesce facile. Siamo
costretti a cavarcela da soli in una frontiera – quella mediterranea –
continentale, non nazionale, utilizzando le nostre forze, le nostre vite e le
nostre finanze come giustamente uno stato democratico dovrebbe fare. Ma essendo
il problema più grande di noi, sono nati campi di accoglienza disumani, dove
gli immigrati vivono come bestie. E l’Europa? Ci accusa di violare i diritti
umani, dall’alto delle sue politiche restrittive sulle entrate e senza essere
capace di trovare una politica comunitaria sull’immigrazione europea che,
forse, metterebbe veramente fine una volta per tutte al trattamento indecente
che viene riservato agli immigrati.
Desolante e rattristante è
vedere un continente così “grande” cadere nel nulla più totale, perdere la
propria identità e continuare a vivere da morto. Morto come i bosniaci di
Srebrenica, come i civili in Ucraina, come gli immigrati nel Mediterraneo. La
formulazione di Kant “ Du kannst, denn du sollst” (Tu puoi, perché devi) è
l’esempio più fine, il punto di partenza per ritrovare la propria autorevolezza
e identità.
Ergo, cara Europa, tu devi
fare, quindi puoi farlo. Però fallo.
Luca Picotti, 4^H
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