Non
tendiamo più a nulla. Siamo fermi, immobili. Impassibili. Quella dinamicità che
ha da sempre caratterizzato la parabola evolutiva umana sembra svanire,
sopraffatta da una comoda staticità, capace di appagare l'animo e di presentarsi
come fine ultimo esistenziale. E' sparito l'ideale, etico, morale.
Nell'ottocento in Germania vi erano giovani che guardavano con occhi illuminati
il loro professore, Fichte, sedotti dall'intensità emotiva dei suoi discorsi,
dal desiderio di libertà. Così come lo erano i giovani italiani, quando Mazzini
proclamava con grande pathos quella che doveva essere la nuova Italia. E nel
68, la coscienza stessa degli studenti ha acceso gli animi e riempito le
piazze. Ora, il vuoto. Figli del boom economico, siamo abituati all'abbondanza
e privi di umiltà, pensiamo che questo sia il nostro locus amoenus, che oltre
non si possa andare. Assistiamo a quel vuoto ontologico della politica attuale,
ma ciò non scalfisce i nostri animi. Rimaniamo apatici proprio perchè il vuoto
ce lo siamo costruiti dentro, come scudo per proteggerci da un nemico. “Per
tenere i popoli a freno, di nemici bisogna sempre inventarne, e dipingerli in
modo che suscitino paura e ripugnanza” scrive Umberto Eco. Noi avevamo bisogno
di trovarne uno, e così abbiamo preso l'ideale dell'Ottocento, e lo abbiamo
reso ripugnante. Lo abbiamo connotato così per paura, per convenienza, per
pigrizia. Ci siamo adeguati all'involuzione dei nostri padri, dimostrandoci
quindi ottimi figli. Una generazione deteriorata, indifferentista, incapace di
sognare, incapace di giudicare, incapace di pensare. Cuori spenti, prospettive
nessuna. Uno scenario drammatico, che trova radici nella politica, ma che si
estende in seguito in tutti gli ambiti.
Se
un nipote chiedesse al nonno pessimista: “Nonno, perchè non sogni più?” il nonno, stanco, sospirerebbe, si
siederebbe, e inizierebbe: “Non sogno più perchè ho vissuto il fascismo, e
porto ancora addosso il suo odore. Renzo De Felice un giorno ha scritto che il
peggior danno del fascismo è stata l'eredità intollerante e violenta che ci ha
lasciato..non ci sono parole più sagge. Non sogno più perchè dopo il fascismo
politico abbiamo avuto il fascismo economico, globalizzando l'inimmaginabile,
occidentalizzando l'inoccidentalizzabile. Non sogno più perchè il 68 ci ha
illusi, e l'illusione è il peggior dei mali. Non sogno più perchè subito dopo è
iniziato il declino politico. Sono iniziate le stragi, gli anni di piombo. E
poi la mafia, che ha fatto scacco matto allo Stato italiano nel biennio 92/93,
lasciando come ricordo le ceneri di Falcone, Borsellino e molti altri. Poi sono
arrivate le tangenti, e io ero già stanco. Stavamo crollando, stavamo perdendo
noi stessi e le generazioni a venire. E, colti alla sprovvista, non siamo riusciti
ad impedire l'ascesa Berlusconiana, che ha irretito le menti degli italiani,
instaurando una nuova ideologia: è iniziato il culto della donna-oggetto, del
denaro, del Superuomo, del divertimento. Non c'era posto per l'arte e la
letteratura nel suo impero, non c'era posto per gli intellettuali. E ora ci
sono i due Mattei, e il comico dai capelli grigi. Come faccio a sognare, come
posso credere nel popolo italiano, quando a rappresentarci sono loro? Camicia
bianca, tante parole e qualche tweet per il premier. Nessuna laurea, nessuna
lettura e tante felpe bizzarre per il segretario della lega. Uscite infelici,
aggressività verbale e nessun contenuto per il leader del M5S. Un vuoto
inquietante, come scrive Damilano. Mi dispiace nipote mio, ma non riesco più a
sognare. Non quando in Italia sta tornando una forma di razzismo che non
vedevamo da molto tempo, non quando Renzi vuole far diventare una Buona Scuola una
Cattiva Scuola, non quando ogni giorno arriva la notizia di un personaggio
pubblico indagato. Non riesco più a sognare dopo Srebrenica, dopo l'11
settembre, dopo Charlie Hebdo, dopo il Bardo, dopo Garissa. Non riesco più a
sognare perchè il mondo sta franando, e l'Italia pare sia il Lucifero che guida
questa caduta”
Il
nipote ascolta in silenzio, poi si avvia verso la porta, amareggiato. Appena
sta per chiudere l'uscio sente il nonno: “ Ma tu sei giovane, hai il dovere di
credere in qualcosa. Alla tua età noi anziani ci credevamo, e abbiamo fallito.
Impara dai nostri errori, vinci il torpore, vinci la staticità. Voglio che un
giorno tu possa dire di averci provato.”. Il nipote guarda il nonno negli
occhi; vede un flebile luccichio, un vano desiderio di muoversi, di agire. Non
servono altre parole. Esce e corre, senza fermarsi.
Luca Picotti 4^H
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