“Non si preoccupi, troverà il modo di sfruttarlo.
Gli utenti iPhone schiacciano il tasto ‘home’ in media 500 volte a giorno.” Questa
è stata la consolante frase dell’operatore che mi ha venduto il telefono,
quando ho espresso la mia perplessità riguardo al piano che prevedeva 5 GB di
internet mensili. Come ulteriore argomentazione, evidentemente deluso dalla mia
espressione, ha continuato dicendo che i giovani ormai non possono più a fare a
meno della costante connessione. Così, oltremodo infastidita da questa triste generalizzazione,
ho cominciato ad osservare più attentamente scene di vita quotidiana altrimenti
trascurabili, scoprendo che effettivamente il caro venditore non aveva tutti i
torti; in autobus, a scuola, in città, al cinema, in macchina, da soli, con gli
amici… Non è mai il momento sbagliato per usare il proprio smartphone. Lo
scenario si è scoperto essere più drammatico del previsto; persone che
camminando per strada con lo sguardo fissato nel quadratino luminoso interagiscono
distrattamente con altre persone altrettanto distratte, gruppi di amici assorti
nell’osservare qualcosa di più o meno utile nei loro schermi, anziani seduti
con espressioni accigliate nel vano tentativo di capire come funziona la
tecnologia ereditata dai nipoti. E non si tratta soltanto di investimenti
economici che sfiorano livelli stellari, o di un impiego del tempo sempre
maggiore nell’utilizzo di questi apparecchi (una media italiana di 6,4 ore
contro una media globale di 6,5 ore), ma di un vero e proprio retrocedere delle
capacità di comunicazione tra esseri umani. L’effetto collaterale per
eccellenza è la dipendenza, ma neanche l’incapacità di cogliere la bellezza di
un posto, di una musica o di un fatto accaduto senza comunicarla immediatamente
ai propri “amici” virtuali è da scartare; cibi e scene divertenti sono gli
esempi più frequenti di immagini che vengono incessantemente mandate in pochi
secondi da un cellulare all’altro. Non sono solo le cartoline e le lettere
mandate via posta ad essere out, ormai lo sono anche le mail: perché
disturbarsi a scrivere o digitare mittente e oggetto, quando bastano pochi e
lievi tocchi di dita e l’immagine o il messaggio sono già arrivati e letti
entro breve tempo? Neanche arrabbiarsi e fermarsi a discutere con chi ci ha
mancato di rispetto è più necessario; scrivere in fretta un Tweet di 140
caratteri in cui ci si lamenta o si insulta l’individuo in questione è
decisamente più comodo che rivolgere la parola ad una persona così irritante,
specie se poi ci sono gli amici ad aggiungere siffatto Tweet ai preferiti, e a
commentarlo con frasi colme di empatia. E così, tra televisione, computer,
cellulare, registro elettronico e lavagna multimediale, i ragazzi non sanno più
cos’è un mondo senza internet, figuriamoci senza corrente elettrica. E se continuerà
ad essere così indispensabile come sembra esserlo in questi ultimi anni, anche
la scuola subirà un notevole cambiamento, se non del tutto negativo, quasi per
niente positivo da quello che è il lato della responsabilità che ogni studente
andrà perdendo quando le presenze, le assenze e le valutazioni dello stesso
saranno visibili online ai genitori in tempo reale.
Forse la mia visione è troppo orwelliana e
influenzata dal mio interesse per ciò che c’è di analogico per essere obiettiva;
tuttavia, la diffusione degli stereotipi trasmessi dai social network e dai
mass media e il modo in cui vengono assorbiti e fatti propri dalla società
occidentale è paragonabile soltanto ad un’efficace trasformazione in automi. Automi
a cui viene insegnato che per essere felici bisogna possedere oggetti, avere
una carriera lavorativa di successo e un posto fisso in cui vivere. Se non si
possiede oggetti, non si ha una carriera lavorativa di successo e un posto
fisso in cui vivere, non si potrà essere felici, e si verrà esclusi. E lo
smartphone è un ottimo oggetto con cui iniziare; intelligente e sempre utile,
sa fare tutto e soprattutto ci bombarda quotidianamente di immagini di ciò che
dovrà essere il nostro prossimo acquisto.
Silvia Perrone 2^D
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