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Occidente e Oriente: ci sarà mai pace?

Luca Picotti 5^H
 
Forse aveva ragione il poeta indiano Tagore, quando un secolo fa profetizzò che “all'immortale Oriente”, come al mietitore, giunga la sua ora. Una frase inquietante, destinata a rimanere nel dimenticatoio per anni, senza destare preoccupazione al popolo occidentale. L'egotismo insito nella nostra natura è difficile da scalfire. Nietzsche sosteneva la presenza di una razza biologicamente superiore, i cosiddetti Superuomini, nati per comandare. I nostri principi fondamentali non ci permettono però di esaltare una teoria che subordina un uomo all'altro; noi difendiamo l'uguaglianza, la libertà. Ma è proprio questo che ci rende, a nostro inconsapevole giudizio, i Superuomini, i migliori.

Se ci cimentassimo in un excursus storico, potremmo immaginare, agli albori, l'Occidente e l'Oriente come due navi che viaggiano parallele, differenti dal punto di vista culturale ma più o meno simili dal punto di vista umano; poi, una cala di colpo l'ancora. Rifiuta la Riforma, l'Illuminismo, la Rivoluzione Francese. L'altra nave le accoglie invece, orgogliosa; ma col tempo questa nave diventa narcisista. Costruisce attorno a sé un sistema occidentalcentrico, munito di una cinta muraria invalicabile; niente può entrare perché la perfezione è già stata raggiunta, tutto può uscire perché essa va diffusa, anche con la forza. Le reazioni sono quindi inevitabili: la crisi globale, l'instabilità Mediorientale e il sedicente Stato Islamico non sono altro che il riflesso dei nostri errori.

Più di duecento anni fa Kant affermava in un suo trattato ( “Per la pace perpetua”) che, se si vuole auspicare una situazione di pace perenne, non si deve intervenire nella costituzione di uno Stato dall'esterno. L'avessero letto gli Americani, forse la situazione in Medioriente sarebbe diversa. La democrazia non si esporta, si conquista. Ma la politica tende sempre a dipendere più dal cinismo economico che dal ragionamento filosofico, così da rendere futili le parole di Platone, Kant, Fichte, Hegel e tutti coloro che (seppur con visioni diverse) hanno intuito l'importanza del filosofo in ambito decisionale-esecutivo.

E così oggi gli Americani, traumatizzati dai precedenti in Iraq e Afghanistan, continuano a tergiversare, senza trovare il coraggio di intervenire in Siria. Tentenna anche l'Europa, dove vi è un rifiuto della violenza a priori, quasi come se si credesse veramente che il divorzio tra politica e polemos sia imperituro, che la guerra in Medioriente sia verbale e non carnale. Allora interviene il presidente siriano Assad, che accusa di ipocrisia l'Europa: “se è tanto preoccupata dalle sorti dei profughi, che smetta di sostenere il terrorismo”. Data la mancanza di risposte concrete da parte dell'Unione Europea, in questo momento, come dice Cacciari, “non ci resta che tifare per i Russi”.

Ora vorrei però tralasciare l'aspetto strategico-politico contemporaneo alla base di questo scontro per analizzare la dicotomia (Occidente/Oriente) dal punto di vista storico.

Già Erodoto, nelle sue ricerche, si focalizzò sulle ostilità tra Greci e Persiani (che poi si svilupperanno in uno scontro più ampio tra Europa e Asia). Alle origini del conflitto trova un ruolo fondamentale la donna; il rapimento da parte dei Persiani di Io e Elena, contrapposto al rapimento da parte dei Greci di Medea, mette in luce la diversa considerazione della donna: i Greci invadono l'Asia per il torto subito, i Persiani rimangono invece apatici di fronte al “furto”. Il trattamento riservato al sesso femminile è ancora oggi alla base delle più sostanziali differenze tra le due civiltà ( i fondamentalisti nel loro slogan affermano: “Schiavizzeremo tutte le vostre donne”). A questo si unisce l'irrisolvibile binomio antitetico “ i tutti/ il singolo”: Tucidide, Pericle e il mitologico eroe Teseo contro Dario. ( per antonomasia, democrazia contro monarchia). Altro elemento che consolida la struttura dialettica Occidente/Oriente è la religione: l'eterno scontro tra Cristianesimo e Islam. Uno scontro che mostra delle contraddizioni, visto che hanno entrambi le stesse radici giudeo-cristiane (anche nell'Islam sono presenti Ibrahim, Musà e Isà); ma questo aspetto è stato così trascurato nei secoli che ora l'unica immagine che ci rimane è quella della croce rossa su sfondo bianco, e sangue, tanto sangue.



Illustrazione di Chiara Lesa

La più netta differenza risiede però non tanto nella religione -proprio perché noi europei, figli di Voltaire, abbiamo abbandonato le cosiddette “guerre giuste” da molto tempo, portando avanti l'idea dello Stato laico- ma nella forma di governo. Siamo così fieri ( fino a diventare patetici) della nostra democrazia che incorriamo spesso nell'erronea convinzione di cui scrive Panikkar : “o dittatura o democrazia”. E la teocrazia intollerante tipica del mondo orientale è ancora più aberrante della stessa dittatura. La fede che sostituisce la ragione, per noi, illuministi liberali, lettori di Locke, è inammissibile. Il problema è che per loro è inammissibile la nostra laicità, il nostro individualismo iperbolico, le nostre libertà illimitate. E come la risolviamo questa struttura dialettica? Tahar Ben Jelloun e altri intellettuali islamici vorrebbero promuovere una riforma della struttura sociale orientale, così da rendere l'utopia di un Islam democratico realizzabile. Ma questo processo di sintesi hegeliana è una necessità per noi occidentali e per una strettissima minoranza islamica che ha subito l'influenza della nostra cultura. Forse, in questo istante, un mediorientale sta scrivendo un articolo per il suo giornalino scolastico, dove ritiene doveroso per l'Occidente adattarsi ad un sistema teocratico. Chi dei due ha ragione?

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