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Assemblee, queste sconosciute


di Daniel Fraulin 5^L


“Ma quindi le vostre non sono vere assemblee…” questo è stato l’inatteso commento di un supplente, appena giunto nostro liceo che, per curiosità, ci aveva chiesto come era organizzato quel giorno così atipico e così aspettato. La reazione di imbarazzo e straniamento che ha lasciato tutti senza risposta davanti al professore, mi ha spinto a chiedermi come le assemblee fossero state nel passato, come lo sono attualmente negli altri istituti, se la modalità adottata nel nostro liceo è effettivamente la migliore. Quanto segue è la risposta a questi quesiti.

Per cominciare, una chiaccherata con il Professor Enrico Petris, studente al Marinelli dal ’73 e poi di nuovo qui come docente di Storia e Filosofia dalla metà degli anni ’90, ha permesso di ricostruire le alterne vicende che hanno riguardato le assemblee fin dal loro inizio. Le prime si svolsero infatti nei primi anni settanta, ottenute grazie alla grande mobilitazione studentesca del ’68. Esse avvenivano nella palestra di via Aspromonte per tutta la mattinata, concesse regolarmente dal dirigente scolastico e vedevano una larghissima partecipazione degli studenti che già allora erano più di mille. Come si può immaginare per via delle loro origini, le assemblee ebbero inizialmente un carattere fortemente politico: non si dibatteva però di politica scolastica, che sembrava già soddisfare gli studenti, né di politica locale, di cui si occupavano altre movimenti. I temi considerati erano quelli decisamente più problematici di politica nazionale e internazionale, dalla critica ai partiti della sinistra storica fino all’opposizione contro la Guerra del Vietnam. La discussione non era mai sterile: l’opinione maggioritaria si condensava poi in un documento che, stampato con il ciclostile, arrivava all’intera cittadinanza attraverso il volantinaggio. Dopo un decennio tuttavia l’interesse e la partecipazione andarono scemando, le assemblee si accorciarono e si svuotarono. Il movimento studentesco trovo allora espressione per tutti gli anni ’90 e oltre nell’occupazione del Liceo, a volte anche per più di un giorno con il silenzioso beneplacito del Dirigente di turno senza forti motivazioni politiche, tuttalpiù nostalgiche verso i tempi dell’attivismo. Tutto questo terminò nel 2005, con l’intervento della polizia e qualche denuncia, senza conseguenze, per gli studenti che si erano resi responsabili di danneggiamenti all’interno dell’istituto. Il fatto che fu sufficiente così poco a mettere fine a questo fenomeno ne evidenzia le misere motivazioni. Risulta tuttavia importante ai fini del nostro breve excursus perché gli studenti, agendo in quel modo, rivendicavano all’interno dell’orario scolastico uno spazio di autogestione e autodeterminazione, dove confrontarsi sugli argomenti più disparati e condividere con i compagni attività che altrimenti non avrebbero trovato spazio fra le mura scolastiche. Ora in fondo, in maniera istituzionalizzata, avviene lo stesso: si può quindi dire che le nostre assemblee siano la conseguenza più naturale di quegli avvenimenti, di cui sono figlie.

Ciò che si è perso con l’abbandono di una riunione collettiva, come avveniva quaranta anni fa, è la possibilità da un lato per l’individuo di formarsi un’opinione ragionata e informata che vada oltre la superficiale adesione ad un movimento, dall’altro per l’assemblea di diventare un soggetto politico che possa dire la sua su questioni che vadano oltre l’edilizia scolastica. Sarebbe straordinariamente bello se l’assemblea potesse diventare una palestra di democrazia, il problema è la carenza di atleti. L’interesse medio degli studenti è così basso che non è realistico pensare di tornare alle modalità, alla partecipazione volontaria, all’attivismo di un tempo. È da arrendevoli però pensare che le cose non si possano cambiare in meglio: da anni ci si lamenta della scarsa partecipazione alle assemblee che pur offrono attività per tutti i gusti, tra le quali alcune, come il gruppo Lan nel passato e le aule studio tutt’ora, vanno addirittura contro i principi di associazionismo e attivismo che hanno ispirato la nascita delle assemblee stesse. Anche il fatto che in essa si svolgano le riunioni dei gruppi di teatro, coro, matematica sminuisce il valore dell’assemblea trasformandolo in uno spazio mensile mattutino per attività abitualmente pomeridiane. Così avviene anche in altre scuole come l’istituto tecnico Malignani o il liceo scientifico Copernico (in quest’ultimo la prima ora è obbligatoria) con i medesimi risultati. L’alternativa che allora appare più sensata al nostro modello di assemblea è quello del liceo artistico Sello: in giornate differenti tra biennio e triennio, gli studenti si riuniscono all’Auditorium Zanon, per la proiezione di un film o una conferenza a cui segue il dibattito. La partecipazione è obbligatoria e questo garantisce ottime presenze. Molti protesteranno dicendo che è importante dare agli studenti la possibilità di scegliere, ma considerato che più della metà di loro sceglie di stare nel letto o di farsi un giro in centro, forse è più opportuno sfruttare il tempo delle assemblee per aiutarli a comprendere il mondo che li circonda, dando loro degli strumenti, con modi e temi che la scuola ordinaria non può permettersi di usare e trattare. Detto ciò, la soluzione migliore è sicuramente differenziare le attività di biennio (nel quale l’assenteismo è dilagante) e triennio. Trovare quindi una sorta di compromesso tra la posizione libertaria e quella autoritaria, sebbene gli studenti degli anni ’70, duri e puri nel loro attivismo, non sarebbero d’accordo con questa mia ultima affermazione.

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