di Damiano Fornasiere e Davide Spinelli 5^B
Parola
al logico:
Immaginiamoci
ora il vecchio Talete, intento ad osservare la volta stellata che lo
sovrasta, interrogandosi sulla natura dell'universo e sulla sua
origine.
Se
poi inventassimo anche un giovane Galileo, qui, nella nostra mente,
lo troveremmo eccitato dalle potenzialità di una scoperta olandese,
che pareva ingrandire gli oggetti in lontananza, dal cielo, alla
luna.
Se
infine pensassimo a quel recanatese di nome Giacomo osserveremmo che
con la luna, addirittura, si mise a parlare.
Se
in qualche modo i campi di indagine di tre personaggi così
differenti hanno di fatto pochi punti in comune, le domande di fondo
che (si presume, o almeno si evince dai rispettivi lasciti)
tormentarono i loro animi non sono cosi difformi ed a sé stanti;
d'altronde, tali interrogativi, sono le questioni più disparate ree
del nostro pellegrinaggio errabondo.
La
"necessità filosofica" è quell'avvolgente costante che
serba in sé sia il bisogno tutto umano di interrogarsi, sia le
risposte che più o meno consciamente ci diamo.
Certamente
questa non ha rilevanza riguardo le questioni già risolte, bensì
nelle problematiche, sia passate che future, ancora insolute.
Se
è vero che la scienza si fa, sarebbe difficile carpire la pregnanza
della filosofia nei ricercatori e negli apparati sperimentali che
giorno dopo giorno ricercano nell'esperienza l'evidenza teorica.
Ciò
nonostante per un teorico la questione diventa decisamente
complicata: nel dover dettare le linee guida di un'idea che si vuole
corroborare si può asserire (con una certa sicurezza) che i
preconcetti filosofici del ricercatore saranno non solo
ragguardevoli, ma quasi fondamentali.
Si
considerino ad esempio gli interminabili dibattiti sulla coscienza,
sull'evoluzionismo, sulle varie interpretazioni della meccanica
quantistica, sui fondamenti della matematica ecc.
Lo
stesso linguaggio, il principale strumento veicolatore dei concetti
astratti, tradisce una personale visione del mondo e pertanto, una
serie di paradigmi scientifici.
Sovente,
infatti, molti problemi più o meno epistemologici erano dovuti a
semantiche e semiotiche ambigue.
È
altresì lecito sostenere, con buona probabilità, che un matematico,
per quanto puro, non possa trascorrere le sue giornate chiedendosi se
la matematica abbia una rilevanza ontologica o meno (giusto per
apporre un esempio). Eppure egli non potrà mai sottrarsi totalmente
al problema, salvo poi cadere in una ricerca tanto sterile quanto
miope, poiché, dopotutto, le grandi domande restano e rifiutarsi di
identificare la significatività della necessità filosofica,
finanche nel più bieco dei ragionamenti, sarebbe alquanto ingenuo.
Parola
allo scrittore:
Mio
caro logico, tu perdi tempo.
Perdi
tempo ed incespichi tra le tue stesse parole, di cui sei vittima e
carnefice.
Ti
inalberi e poi affondi. Ti illumini e appassisci.
Vedi,
ogni scrittore odia se stesso quanto gli altri, così guarda le
stelle lassù, così s'appella alla luna, ci parla e per sentirla più
vicina, qualche altro matematico, accorso in aiuto, s'inventa persino
il cannocchiale.
Quanto
facciamo per non sentirci soli: la filosofia è una vecchia amica, e
come la pioggia d'estate s'incontra all'improvviso.
La
filosofia è involontaria, non necessaria.
E
chi come te ne ricerca le domande, chi come te s'offusca la vita con
retaggi logici, perde tempo.
Ma
sei fortunato amico mio: ci sono io, lo scrittore. Quello un po'
arrogante e un po' evanescente.
Fondi
ogni tuo ragionamento sulle parole, con cui edifichi la tua
filosofia, la tua casa teorica.
Ma
se ti domandassi cos'è la parola?
Probabilmente
ricercheresti un ragionamento astruso, barricando la tua posizione
dicendo " lo stesso linguaggio tradisce una personale visione
del mondo".
Ma
mio caro, il linguaggio tradisce i logici, non gli scrittori. Tu armi
la tua faretra di parole e concetti, occludendo ai più il
significato, celandoti dietro un dibatto autoreferenziale, che per
boria asserisci essere IL quesito, LA domanda.
Eppure
dimentichi che le parole, le parole con cui parli di questo,
stridono.
Io
non ti credo, non credo alle parole che usi poiché non ne conosci il
ruolo: usi molte pallottole senza pistola.
Io
ho entrambe. Come centro il bersaglio?
Chiudo
gli occhi; sì, prima di sparare li chiudo.
Non
cerco le domande, ma colgo le risposte involontariamente, scrivendo
qualche parole che racconti qualche altra storia. Lascia che la
filosofia germogli spontaneamente e sarai molto più che un semplice
logico.
Non
lasciare che le parole cessino di comunicare: loro non si pongono
domande, non mostrano, dissimulano.
Non
ricercare una parola affinché non se ne oda un'altra.
E
tu mio logico, lascia che ti racconti una storia senza sapere il
perché.
Almeno
ogni tanto.
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