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#ENDFGM: contro la mutilazione dei genitali femminili


di Crystal Qehaja 4^E


Jaha Dukureh
Jaha Dukureh, una donna forte che ha ancora il coraggio di vestire i lunghi abiti colorati della tradizione del suo paese natale, il Gambia; Mary Carson, giornalista del quotidiano britannico The Guardian; Elisa Finocchiaro, direttrice di Change.org, una piattaforma di petizioni online. Queste le protagoniste del dibattito tenutosi nella Sala del Dottorato al Festival del Giornalismo a Perugia; una conferenza che ha portato in campo un tema lontano dalle prime pagine delle testate giornalistiche italiane: la FGM (Female Genital Mutilation), fenomeno per cui le tre donne hanno iniziato a combattere insieme dal 2015 con una campagna globale. Si tratta di una lotta che vuole riscattare le 200 milioni di ragazze vittime della FGM a livello internazionale. I casi di ragazze mutilate, secondo quanto dice Jaha, sono ben maggiori di quelli stimati dalle Nazioni Unite. Jaha ne sa perché anche lei è stata vittima del fenomeno. Con la proiezione di un video in sala ha fatto conoscere al pubblico la sua storia: sottoposta all'infibulazione a una settimana di vita, ha condiviso il suo destino di mutilata con la sorellastra che però è morta per le complicazioni dell'intervento. L'infibulazione è una pratica barbarica considerata un rito di passaggio per tutte le ragazze gambiane dall'infanzia alla prima adolescenza che consiste nella rimozione parziale o totale delle piccole e grandi labbra e nella cucitura della vagina dalla quale si pratica un piccolo foro che permette la minzione e la fuoriuscita del sangue mestruale. Jaha, all'età di 15 anni, è stata promessa sposa a un uomo trent'anni più grande di lei a New York. Inabilitata a consumare rapporti sessuali, è stata nuovamente sottoposta a un'operazione chirurgica, momento in cui ha vissuto la sua vera FGM. In Gambia, infatti, essere ragazze mutilate rientra nella normalità della vita. Mary Carson e Jaha si sono impegnate a rendere consapevoli le vittime dell'importanza dei danni fisici e psicologici arrecati loro. La prima, assieme all'opera di denuncia di Elisa Finocchiari, ha creato una piattaforma in internet che stimolasse lo storytelling delle donne mutilate e che favorisse la loro riabilitazione mentale e sociale. Così come tutte le vittime, anche Jaha aveva avuto paura di esporre la sua vicenda ai mass media, scettica nei loro confronti, ma poi si è affidata al potere della comunicazione. La campagna mediatica, grazie al lavoro di trenta giornalisti inviati in Kenya e in Nigeria, ha condotto una forte opera di divulgazione dei pericoli causati dalla mutilazione. Jaha è riuscita ad avere un dialogo con le autorità religiose e politiche- imam della comunità e Presidente- del Gambia, dove ora l'FGM è vietata. Sensibilizzare le popolazioni al netto rifiuto della pratica è una sfida soprattutto per le zone più povere dove i mezzi multimediali sono poco diffusi. Utile in questi casi è la radio che risulta essere un potente mezzo di comunicazione. Ad oggi i tre paesi in cui viene maggiormente praticata la mutilazione femminile sono l'Egitto, l'Etiopia e l'Indonesia ma allarmanti per noi europei sono i 500 casi al mese registrati in Inghilterra dove le vittime sono donne egiziane o di origine sub-sahariana. Le tre esponenti hanno quindi sostenuto con forza la necessità di fare del giornalismo mediatico un'efficace arma di diffusione del sapere, di stimolo di reazione e di rassicurazione per le donne che si sentono sole nel loro dolore. In ultima analisi Jaha ha fatto notare come sia essenziale colpire la mentalità dei giovani per instaurare i principi di diritto all'istruzione e all'indipendenza per debellare alla radice l'atroce tradizione della mutilazione dei genitali femminili.



 

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