di Linda Amaduzzi 4^H
L’essere
un hacker ha delle implicazioni che trascendono le conoscenze
informatiche e le abilità tecniche per cui questi sono
principalmente conosciuti. Serietà etica e purezza di principi
accomunano questa categoria di persone, spesso sotto l’etichetta di
ribelli. Tuttavia non è la mera ribellione il loro ideale -sebbene
un completo disprezzo per le regole e i limiti li porti spesso a
confondersi con questa definizione- ma è un ideale di giustizia e
libertà che è difficile attribuire come proprio a persone che
spontaneamente si è più pronti ad associare a dei robot. È forse
trovandosi investiti, all’insaputa della maggior parte delle
persone, di un enorme potere in grado di cambiare le vite di tutti,
che questi hanno sviluppato una consapevolezza e un senso di
giustizia fuori dal comune.
Questo
potere potrebbe essere utilizzato per scopi impropri, tuttavia quelle
che sentiamo quotidianamente non sono che storie di eroi virtuali
che, con le loro prodigiose abilità informatiche, hanno combattuto
per la libertà e la consapevolezza dei cittadini, schierandosi
spesso contro i centri di potere. Infatti in molte di queste storie
l’autorità recita la parte del cattivo, rifiutando di ammettere la
ragione di queste persone e a volte negando loro persino l’asilo
politico o la libertà. Il fatto più eclatante, tuttavia, è che
spesso i governi non sono supportati nelle loro decisioni dal popolo.
È il caso della Germania, che rifiuta l’asilo politico a Edward
Snowden nonostante la richiesta dei cittadini, di Assange
perseguitato per aver raccontato delle verità scomode a molti e di
Swartz, “assassinato” dallo stato per aver reso disponibile un
archivio online di articoli accademici non liberamente accessibili al
pubblico.
“I
don’t know why they go after people who tell the truth” queste le
parole di Sarah Harrison, importante collaboratrice di Assange, che
abbiamo avuto l'onore di intervistare a Perugia. È proprio questa la
domanda che è spontaneo porsi. Nella sua esperienza di protettrice
di Snowden su incarico di Assange, Sarah ha vissuto in prima persona
una delle controversie più attuali e dibattute del nostro mondo:
quella di un uomo che è dovuto scappare dal proprio paese e che è
ricercato per aver detto ai suoi concittadini che lo stesso Stato
stava infrangendo le leggi e li stava spiando nelle loro case, e
quella degli altri paesi che, ricattati dagli USA, gli rifiutavano
l’asilo politico tramutandolo da giustiziere in criminale.
È
grazie a questi episodi che gli hackers sono diventati nell’opinione
pubblica i nuovi idoli delle masse, tanto da creare un fenomeno
mediatico con il diffondersi di film, serie Tv e libri incentrati
sulle figure di questi cupi ragazzi un po’ disturbati e asociali,
geniali con il computer e avversi alla società, che hackerano il
mondo operando in bande : “Mr. Robot” o “The untold story of
the silk road”, per citare due dei più famosi.
Sarah Harrison |
Tra
quelli che affrontano storie vere, “The Internet’s Own Boy: the
story of Aaron Swartz”, presentato al Festival del Giornalismo di
Perugia coglie nel segno. Ci dimostra come un piccolo genio del
computer, invece di limitarsi al compito che la società gli affida
solitamente nel lavorare per grandi aziende o creare applicazioni,
fin da piccolo persegua un alto ideale di libertà, virtuale e non.
Nel seguire la lotta di Aaron, “The Internet’s own boy”, oltre
a piangere amaramente per l’ennesima sconfitta del “buono”e per
la surreale ingiustizia del finale, si è colpiti dalla scelta di
vita controcorrente di una persona che avrebbe potuto raggiungere
tutti i privilegi inseguiti dalla nostra società e invece decide di
lottare per cambiarla.
“Non
si può fargli cambiare i suoi principi per nessun motivo. Non può
essere corrotto. Se crede in qualcosa continuerà a sostenerlo in
qualsiasi caso, più di chiunque io abbia mai conosciuto.” così
viene descritto Assange dalla Harrison. Il ritrovato attivismo
politico e gli ideali che caratterizzano queste figure determinano il
fascino che esse hanno agli occhi del mondo, e spingono sempre più
persone a condividere, davanti alle ritorsioni dei governi, la stessa
frase rivolta alle autorità americane dopo il caso Swarts: “You
are on the wrong side of history.”
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