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La storia della censura e’ la storia della letteratura


di Anna Balduzzi 3^I
 
Quest’anno il Festival Internazionale di Perugia presenta una grande novità nel suo elenco di quasi 20 seminari che nella sezione Law & Order organizza. Antonio Armano, giornalista e scrittore, ha appena pubblicato il libro “MALedizioni. Processi, sequestri, censure a scrittori e editori in Italia dal dopoguerra a oggi, anzi a domani”. Visitando tribunali, intervistando magistrati e avvocati, Armano, in una vorticosa cavalcata tra epoche e scrittori, si addentra in un’accurata analisi dei sequestri per oscenità, blasfemia e pornografia di grandi capolavori della letteratura. Armano introduce il suo intervento presentando un video che raccoglie le copertine originali dei libri, scritti da autori italiani e stranieri, che sono stati denunciati o condannati per diversi reati che riguardano la libertà di espressione, l’oltraggio al pudore e la diffamazione dal dopoguerra fino ai nostri giorni. “La storia della censura va di pari passo con la storia della letteratura” ci dice lo scrittore. Durante la stesura di un libro o prima della sua pubblicazione, è doveroso essere capaci di autocensurarsi e fare i conti con l’Articolo 21 della Costituzione che garantisce la libertà di espressione purchè non si offenda il “buon costume” cioè il comune senso del pudore (per quanto riguarda il nostro Paese). Secondo il relatore in Italia sarà D’Annunzio, il “poeta porco”, a introdurre certe arditezze e l’erotismo nell’Ottocento, come lamenta Alfredo Sandulli in Arte delittuosa, un saggio del 1934. Tra Carducci, Manzoni, Leopardi si stava così bene! (prima che arrivasse il poeta Vate). Non è pertanto del tutto inusuale che opere artistiche, quali libri, fossero processati per "oscenità", come nel 1955 Ragazzi di vita di Pasolini, perché parlava della prostituzione maschile. Nella cosiddetta Prima Repubblica la denuncia era un fatto molto grave e oggetto di scandalo, tanto che i giornali preferivano non parlarne. Fatto curioso data la precedente emanazione del Codice Rocco durante il ventennio fascista, che puniva le pubblicazioni contenenti oscenità e blasfemia. Armano continua poi riferendosi ad Altri libertini, romanzo e opera prima di Pier Vittorio Tondelli, pubblicato nel 1980. Il successo di pubblico ha indotto l'editore a predisporre fino a tre edizioni allorché il Procuratore generale dell'Aquila ne ordinò il sequestro per oscenità e oltraggio della pubblica morale, a causa della denuncia perpetrata da un privato cittadino offeso dalla presenza di bestemmie e immagini obiettivamente forti o, perlomeno, inusuali agli occhi della morale comune. Nonostante la Costituzione della appena nata Repubblica tutelasse la libertà di espressione (articolo 21), tale diritto civile era ancora lontano da una piena acquisizione nell'ambito della società. Per quanto riguarda la letteratura straniera, il casus belli della novecentesca guerra mondiale per la libertà narrativa, invece, è l’Ulisse di Joyce. Il romanzo inizia con la tappa al cesso di Leopold Bloom - per leggere un racconto premiato su un giornale e pulirsi con lo stesso come geniale giudizio critico – e si conclude con lo scandaloso soliloquio di Molly Bloom (è la prima volta in cui una donna parla della sessualità). Pubblicato nel 1922 a Parigi in forma semiclandestina, l’Ulisse subirà diversi processi prima di poter circolare negli Stati Uniti e altrove. In Italia compare solo nel 1961 dove subito viene denunciato. Ma chi segnalava i titoli alle procure? In prevalenza sodalizi cattolici, “i protagonisti dell’osceno”, come qualcuno li ha chiamati, ma anche gruppi di insegnanti, questori, preti, militanti missini, democristiani. Armano ci dice che ciò che più infastidiva i denunciatari e che veniva maggiormente perseguitato era “il sesso alla Bukowski, il sesso della sinistra, quello popolare, del neorealismo, il sesso di Ragazzi di vita”. L’ultimo processo in stile Prima Repubblica coinvolge Busi e Sodomie in corpo 11 mentre all’orizzonte incombe Tangentopoli. Aldo Busi contribuì in Italia a tracciare un nuovo senso del pudore che, come afferma Remo Lugli, giornalista e scrittore nato nel 1920, si è evoluto in questo decennio sia per quanto riguarda i libri che i film. “Le apparizioni di nudità femminili in un film non sono più condannabili, mentre lo erano trenta anni fa. Ma quando la nudità è associata ad azioni o atteggiamenti erotici contro natura, diventa pornografia”. Appare complesso dopo una così intricata disamina definire dunque i limiti dell’osceno, della blasfemia e della pornografia. Credo non possano essere determinati dal pudore di una singola persona; non esiste un termine preciso per dichiarare se un’opera è idonea o meno. Possiamo dunque affermare che la censura si realizza laddove la volontà artistica di espressione incontra l’intenzione governativa di controllo. Inevitabilmente, la volontà del Potere di controllare l’arte, appare come una chiara intenzione di controllare il popolo. La censura esiste ancora in Italia? Sì, esiste ancora nel nostro Paese ma è cambiata fortemente, lo notiamo tutti i giorni. A cambiare è stata la mentalità dei cittadini e delle istituzioni e di quel mondo cattolico legato indissolubilmente alla storia della nostra nazione. Basti pensare come Giulio Andreotti (critico nei confronti di quel Neorealismo che ci ha dato fama mondiale), sul piano della censura cinematografica, divenne garante di una certa morigeratezza, contribuendo alla nascita di una perfetta mediazione tra Chiesa e Stato.

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