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Shoah, negazionismo e libertà d'espressione



di Luca Picotti 5^H


Il 27 gennaio è stata celebrata la Giornata della Memoria. Ogni anno ci si ricongiunge nel nobile atto del ricordo per combattere lo spettro dell'oblio. Non sono però da trascurare le responsabilità che il ricordo comporta; dal punto di vista giuridico e morale sorge un nuovo nemico nel momento in cui il ricordo mistifica la realtà dei fatti: il negazionismo. Questo nasce da una perversa degenerazione del revisionismo, termine utilizzato dalla storiografia per indicare la reinterpretazione della storia, la messa in discussione di alcuni fatti secondo modelli e paradigmi teorici differenti. Il termine negazionismo, “inteso come negazione sistematica e ideologica di realtà e verità” ( Emanuela Fronza, “Il negazionismo come reato”), si sviluppa a seguito delle atrocità commesse nella Seconda Guerra Mondiale. La negazione o comunque minimizzazione della Shoah e l'apologia del nazismo rappresentano al meglio la violazione della memoria alla quale tende questa pratica anti-fattuale: nonostante l'immensa mole di documenti, alcuni hanno provato a sostenere l'idea che per gli ebrei fosse stato previsto un progetto di emigrazione in paesi extraeuropei e non lo sterminio (tra questi il demiurgo è Robert Faurisson, ex professore di critica letteraria all'Università di Lione). Un altro esempio drammatico è la Turchia, che continua a negare il genocidio del popolo armeno. La negazione pregiudiziale è fin troppo presente anche a riguardo dell'Holodomor ( Olocausto ucraino) e del genocidio ruandese.

Il diritto penale oltrepassa le “lois memorielles” e l'imperativo bisogna ricordare istituendo un determinato modo di ricordare, in linea con una ed una sola interpretazione della storia, condivisa e presa come vera. La tutela della memoria viene così garantita dalle pene nelle quali si imbattono coloro che mistificano eventi tragici del passato. Nel 2008 la Decisione Quadro dell'Unione Europea chiede ai singoli Stati nazionali di introdurre nei loro ordinamenti questo reato come figura autonoma, che va ad affiancarsi al reato di incitamento all'odio e alla discriminazione razziale con cui si soleva tradizionalmente combattere il negazionismo.

L'apologia del nazismo – prendo questo caso come l'esempio più emblematico- viene a ledere la sensibilità collettiva, su questo non c'è dubbio. Credo che tutti possano convenire con il fatto che una manifesta nostalgia nazista vada repressa penalmente, che esprimere liberamente le proprie idee antisemite debba essere vietato dalla giurisdizione. In Italia la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione vieta la “riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista”, nonostante la libertà di associazione tra i cittadini sia garantita e ritenuta inviolabile; il tentativo di redimersi dai tragici errori del passato porta ad una contraddizione in termini di libertà del singolo. Torno all'apologia nazista: con la penalizzazione di una manifestazione di libero pensiero non si contraddice un diritto inviolabile? La possibilità del negazionista nostalgico di presentarsi come martire della libertà d'espressione rende critica la posizione del diritto penale. La libertà di parola è uno dei cardini fondamentali della democrazia, ma è risaputo quanto sia “pericolosissimo concederla senza alcuna limitazione” (Baruch Spinoza, “La libertà di pensiero”). Colui che nega una verità del passato esprime la sua opinione, come chiunque altro. E' compito però della responsabilità giuridica condannare la libertà di parola nel caso in cui incida negativamente sull'interesse pubblico ed è anche lecito che questa responsabilità incorra nel rischio di rientrare in una sfera irrazionale ed emotiva: intrinseca alla negazione dei genocidi vi è un'offesa alla dignità umana che è ineluttabile. L'istigazione razziale non è altro che un abuso della libertà d'espressione volto a colpire il ruolo nella società di un individuo, con lo scopo di annullarlo. La libertà dell'istigatore razziale si scontra così direttamente con la libertà di esistere come cittadino del discriminato. Il diritto penale deve inserirsi all'interno di questi abusi tutelando l'ordine pubblico – la nientificazione di un cittadino sarebbe comprometterne la stabilità- prescindendo dalla formale libertà assoluta garantita dallo Stato e inserendo una più realistica libertà relativa, che regoli l'uso illimitato della parola.

La penalizzazione del negazionismo è un patto etico internazionale che coinvolge la maggior parte degli Stati Europei (altri, come l'Italia e il Regno Unito, si affidano invece al più tradizionale reato di istigazione razziale). Non serve solo a mantenere l'ordine pubblico e la pace collettiva, dato il pericolo che può derivare dalla divulgazione delle tesi negazioniste, ma serve soprattutto a tutelare la dignità e la memoria delle vittime dei genocidi e delle macroviolazioni dei diritti umani. Il 27 gennaio abbiamo ricordato il più terribile genocidio della storia; non basta però ricordare. Bisogna conoscere, tramandare ma soprattutto denunciare chi, accecato dalla sua stessa ideologia, vede del passato solo una rappresentazione della sua perversa volontà del presente.

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