di Andrea Canciani 5^L
Si
sveglia dopo una lunga notte di sonno ristoratore, si affaccia alla
finestra, ammira prima la bellezza offerta dal paesaggio scozzese del
1700 , poi alza gli occhi al cielo, sente il calore dei raggi solari
sulla pelle, solleva le mani in segno di protesta e impreca dicendo:
”mannaggia a te oh sole, mannaggia a te che continui ad alimentare
il fanatismo”.
Questo
accadeva ogni mattina, ogni mattina Hume si sporgeva alla finestra,
guardava il sole e imprecava.
La
sua giornata iniziava sempre male, per lui il mondo quasi sembrava il
peggiore dei mondi possibili, tuttavia le cose si risolvevano. In fin
dei conti il suo era pur sempre uno scetticismo sereno. Certo, per
lui risultava tanto difficile digerire il nesso causa-effetto quanto
per il nostro organismo il kebab, ma la sua convinzione era
sufficiente. Bastava non cadere nell’ ”entusiasmo”, nel
fanatismo ingiustificato. L’esperienza è limitata e intermittente;
non è quindi giustificabile l’associazione di idee seguendo il
nesso di causalità, ovvero associare due idee contigue spazialmente
e successive temporalmente. Il nesso cause-effetto implica una
necessità tra due oggetti A (causa) e B (effetto), necessità che
però nell’esperienza non è possibile individuare. È per questo
motivo che ogni mattina Hume si alzava e subito si dirigeva verso la
finestra per controllare se il sole fosse sorto: nel caso negativo la
sua teoria sarebbe stata comprovata anche dall’esperienza. Con
questo ragionamento Hume non mette solo in crisi i 150 anni di
rivoluzione scientifica a lui antecedenti, ma anche una qualsiasi
religione la quale identifica in Dio la causa prima dell’esistenza,
per non parlare di tutte le elaborazioni metafisiche. Hume tanto
provava a diffondere queste sue teorie, ma i lettori dei sui libri al
tempo rasentavano lo zero. Scrivere non era proprio il suo forte e ne
era tristemente consapevole. Tirando le somme forse avrebbe preferito
pubblicare libri forgiati all’inferno piuttosto che nati morti. Il
suo pensiero però era nobile. La sua convinzione di un’umanità
irrazionale, che conosce per abitudine proiettando nel futuro una
conoscenza basata sull’esperienza e che quindi rappresenta
l’immagine del passato, non mirava a scardinare la totalità delle
strutture conoscitive fino ad allora create. La sua critica era volta
a rendere chiara l’impossibilità di conoscere l’essenza, una
qualsiasi suprema verità incontestabile alla quale tutti si devono
adeguare e sottomettere.
L’uomo è per natura irrazionale, anche se simpatico… sì, pensava l’uomo fosse simpatico. Certo, non gli attribuiva una simpatia tradizionale, bensì una simpatia che tanto ricorda una passione, un sentimento empatico di fratellanza. Rigettava l’egoismo, preferiva credere in un uomo mosso da questa dolce simpatia, dalla ricerca del maggior bene per il maggior numero di persone. Questa simpatia-empatia lo portava a fondare una morale detta utilitarista. Ok, il nome non è proprio il più azzeccato, fa quasi pensare a un bieco opportunismo, tuttavia il carattere di questa dottrina morale non era sicuramente questo; come già detto il suo pensiero era nobile.
Non compreso e trattato come un ciarlatano, Hume semplicemente sognava un mondo privo di presunzioni e fanatismi di qualsivoglia genere, un mondo serenamente scettico che probabilmente non avrebbe prodotto le atrocità mostrateci dalla storia
Hume ci credeva, sognava questa sua probabile utopia, sperava in un domani migliore…in un domani in cui il sole non sarebbe sorto.
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