L'ultimo Nolan dura il doppio di Gravity ed è bello la metà
«Infuria, infuria contro
il morire della luce», scriveva Dylan Thomas nel 1951. Ora la Terra è afflitta
da tempeste di sabbia, le risorse naturali vanno finendo e gli uomini si sono
fatti agricoltori per supplire a questa scarsità. Cooper, ex-astronauta che mal
sopporta la propria vita tra i campi della provincia americana, scopre, grazie
a un'intuizione della figlia Murph, una base segreta della NASA dove i migliori astrofisici al mondo stanno
lavorando in gran segreto per preservare la specie umana. In che modo ciò è
possibile? Si tratta di sfruttare un wormhole
(un cunicolo spazio-temporale) per raggiungere un'altra galassia, la quale,
si spera, conterrà pianeti vivibili. E chi più di Cooper è destinato a
intraprendere questo viaggio? Murph sembra non capire l'importanza del viaggio
del padre e, complice un effetto dei viaggi interstellari (la sensibile
relatività del tempo), non potrà perdonargli l'abbandono prima di essere
diventata più vecchia di lui.
«L'unico modo per poter
andare avanti è lasciarsi qualcosa indietro», dice Cooper, e forse lo pensa lo
stesso regista, che con Interstellar passa a un intreccio più semplice,
abbandonando i rompicapo narrativi di Memento e Inception per
aprirsi a meditazioni sulla natura dei sentimenti – «l'amore è la quinta
dimensione dell'universo», ci suggerisce una spaesatissima Hathaway, più figlia
dei fiori che astrofisica – e a riflessioni sul concetto di assenza, tempo,
morte. Proprio per questo, definire Interstellar uno sci-fi d'autore,
come suggeriscono la locandina o il trailer, è sviante. La componente
scientifica del film, per quanto raffinata e approfondita (tra i produttori
esecutivi uno dei maggiori fisici teorici al mondo), funge da pretesto per
elaborare un racconto classico nei temi (lo sgretolamento della famiglia
tradizionale, i pericoli associati allo scientismo, il mito della seconda
chance).
Le premesse ci
sarebbero, è il risultato che delude. I Nolan hanno dimostrato che i loro
migliori personaggi sono mentalmente instabili, perché no paranoidi, e dunque
non concepiti nella loro interezza psicologica; con Interstellar abbiamo
la conferma della loro scarsa capacità di scrivere caratteri a tutto tondo –
c'è da scegliere tra l'ingenuità new age dell'astronauta Brand e la
costante attitudine da melò di Murph. Sono dubbiosi, e forse estremamente
ingenui, alcuni nodi della narrazione (sei perso nello spazio e ti salvano per
caso), ci si chiede poi se la durata punitiva fosse davvero irrinunciabile (i
paragoni a Tarkovskij e Kubrick si esauriscono qui). E però, se Interstellar
manca sul piano drammaturgico, non si può non lodare come le distese di
granturco e i vuoti cosmici si fondono magistralmente alla partitura musicale
di Zimmer (La sottile linea rossa, Il gladiatore), non si può non
applaudire l'affranto ma vincente McConaughey, padre che che non sceglie la via
giusta, ma quella meno sbagliata, proprio come la scienza cui tanto si affida.
Film da vedere
(2013/2014):
1)
Paul
Schrader: The canyons
2)
Joshua
Oppenheimer: L'atto di uccidere
3)
Richard
Linklater: Boyhood
4)
Abdellatif
Kechiche: La vita di Adele
5)
David
Cronenberg: Maps to the stars
6)
Jonathan Glazer: Under the skin
7)
Alfonso
Cuaron: Gravity
8)
Pawel
Pawlikowski: Ida
9)
Wes
Anderson: The Grand Budapest Hotel
10)
François
Ozon: Giovane e bellaRaffaele Indri 4^L
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