Il
tempo scorre, veloce e dritto come un treno. E così la società, nell’ardua
impresa di reggergli il passo, si sviluppa, si trasforma e si evolve. Ci siamo
lasciati indietro molte cose e ne abbiamo create altre; basti pensare ai nostri
nonni, che hanno vissuto la loro giovinezza senza la televisione, o ai nostri
genitori, che per organizzare un giro in centro con gli amici dovevano chiamare
al telefono di casa o suonare al campanello. Vanno senza dubbio lodati i grandi
scienziati, grazie al contributo dei quali la nostra vita è divenuta più comoda
e semplice. Ma ora questo “culto” della tecnologia sta invadendo ciò che
dovrebbe solo supportare, creando così dibattiti e discussioni.
Molti ritengono, per esempio, che l’uso dei tablet a scuola, sostituendo di fatto i nostri cari libri, sia la svolta vincente, ciò che potrebbe trasformare la monotona e tediosa lezione in un qualcosa di interessante e stimolante. E così eccoli che si risvegliano dal loro letargo i tanti amanti del nuovo, del “cool”, uomini d’avanguardia che colgono subito l’occasione per smantellare tutto ciò con cui siamo cresciuti. Per l’amor del cielo, il conservatorismo e il tradizionalismo sono delle limitazioni mentali da eliminare, o almeno da alleviare, ma non mi sembra neanche molto sensato interpretare il progredire della scienza in chiave tassativa sostenendo che poiché si può passare qualcosa in digitale, allora lo si deve passare. Anche perché i problemi che riguardano la scuola italiana sono altri, non certo i libri cartacei. Se noi italiani riusciamo ancora a reggere la concorrenza europea è grazie alla preparazione che ci viene data, con la quale possiamo poi affrontare ogni genere di università, con una conoscenza solida e a 360 gradi.
Molti ritengono, per esempio, che l’uso dei tablet a scuola, sostituendo di fatto i nostri cari libri, sia la svolta vincente, ciò che potrebbe trasformare la monotona e tediosa lezione in un qualcosa di interessante e stimolante. E così eccoli che si risvegliano dal loro letargo i tanti amanti del nuovo, del “cool”, uomini d’avanguardia che colgono subito l’occasione per smantellare tutto ciò con cui siamo cresciuti. Per l’amor del cielo, il conservatorismo e il tradizionalismo sono delle limitazioni mentali da eliminare, o almeno da alleviare, ma non mi sembra neanche molto sensato interpretare il progredire della scienza in chiave tassativa sostenendo che poiché si può passare qualcosa in digitale, allora lo si deve passare. Anche perché i problemi che riguardano la scuola italiana sono altri, non certo i libri cartacei. Se noi italiani riusciamo ancora a reggere la concorrenza europea è grazie alla preparazione che ci viene data, con la quale possiamo poi affrontare ogni genere di università, con una conoscenza solida e a 360 gradi.
Ma,
ciò nonostante, si continua a lottare per l’inserimento di questo apparecchio
elettronico, nel quale sarebbero poi scaricati tutti i testi, che, ahimè, non
può far altro che danneggiare la formazione globale di un ragazzo. Infatti
state pronti, dovremo prepararci ad un mondo senza scrittori, in quanto
l’abilità e la passione per lo scrivere possono coltivarsi solo con quel
movimento ondulatorio che muove la penna, aiutando così una coordinazione
mente-mano, fondamentale soprattutto in giovine età. L’auto correttore del
computer ci vizierà, portandoci così ad un rischio di errore più alto al tema
d’esame o nelle simpatiche cartoline per le nonne, che rimarranno indignate da
tale ignoranza; studiare risulterà più difficile, in quanto la memoria prassica
dei vecchi appunti a mano svanirà. Ritroveremo una società di individui con gli
occhiali (per l’economia degli oculisti e ottici sarà uno spettacolo, forse sono
proprio loro a pressare per l’inserimento del tablet) in quanto sfido chiunque
a rimanere indenne dopo aver studiato 80 pagine di storia su un monitor.
Detto
ciò dobbiamo focalizzarci più su ciò che realmente stimola l’alunno. Viviamo
già abbastanza immersi nella tecnologia noi giovani, dipendenti dallo
smartphone, sempre più nascosti dietro il nostro portatile e sempre più
contagiati dalla vita virtuale dei social. L’inserimento a scuola di uno dei
nostri dispositivi preferiti sembra un insulto al nostro cervello, una finta
soluzione che pensa di poter far felice “il bambino”, che può così divertirsi
con il suo giochetto, e perfino imparare, pazzesco! C’è poi il rischio, non da
sottovalutare, che questi tablet limitino l’azione del professore, unico vero
fautore della cultura di un giovane. Una figura con esperienza alle spalle e
capacità di trasmettere le conoscenze è veramente ciò che basta. Lo stimolo e
l’interesse che i ragazzi ricevono da un docente bravo è spropositato;
ascoltare questa persona, che gioca con le parole, costruisce discorsi, esprime
la propria sapienza è la scossa che poi permette allo studente di aprire la
mente, scoprire passioni nascoste, innamorarsi di alcune materie e sviluppare
la creatività; cosa che non si ottiene
con un insulso tablet (e mi scuso per il termine), che può al massimo concedere
l’approfondimento di qualche interesse innato, unito a qualche inutile giochino
e una connessione wifi.
E
se non volete darla vinta, tentando di chiamare in causa la noiosa struttura di
un libro scolastico, vi domando: come si può studiare i grandi letterati,
Manzoni, Leopardi e gli altri, leggendo i loro testi ingabbiati in uno schermo,
senza quel contatto intellettuale che si ha col foglio? Quella stessa carta che
dai papiri alle pergamene ha accompagnato l’evolversi di questa bellissima arte
che si chiama scrittura.
La
scuola funziona con un libro e un bravo docente; tanti geni si sono rivelati
tali senza l’uso di iPad e aggeggi vari. Come supporto tecnologico, visto che
al giorno d’oggi c’è la possibilità di averla, basta una lavagna LIM, una per
classe però, evitando così lo scannarsi tra alunni e professori di diverse
sezioni per ottenere l’ambito premio digitale, così da poter agevolare
approfondimenti, soprattutto nelle materie scientifiche.
Tre
elementi (libro, professore, lavagna lim) e si va avanti, non si interrompe una
tradizione millenaria e si continua un processo di formazione e preparazione
dello studente che, chissà, magari un domani diventerà uno scrittore grazie
alla sua penna biro, o uno dei capi dirigenti della società grazie alle
conoscenze che il suo vecchio insegnante gli ha tramandato. Di certo ognuno di
noi esce da questa scuola, CARTACEA, “in potenza” di diventare qualcuno, sta
solo a lui deciderlo.
Luca Picotti 4H
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