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Storia di un compito di matematica

“La matematica non sarà mai il mio mestiere” cantano a squarciagola i maturandi quando ascoltano Venditti per calmarsi (o stressarsi) prima del fatidico giorno d’inizio Esame. Una frase che unisce sotto un’unica bandiera gli studenti di qualsiasi scuola superiore; perché tutti, nella loro carriera scolastica,hanno l’onore di “assaggiare” questa disciplina che, senza dubbio, è tanto affascinante quanto complessa,sicuramente la più difficile da apprendere. Ma il momento più bello, e in questo caso noi dello scientifico ne siamo fin troppo abituati, è quello del compito di matematica, o più propriamente tema di matematica, la resa dei conti, lo scontro finale tra l’alunno e questa materia una volta finito l’argomento trattato.
Dopo settimane e settimane di esercizi, dove l’ottimismo regna sovrano, ci si avvicina al giorno del giudizio. Mancano 7 rotazioni terrestri e si bruciano i libri delle altre materie, tanto si sa che d’ora in poi ogni pomeriggio sarà solo calcoli,equazioni,dimostrazioni ecc. Il tempo passa veloce, e, preparato o non preparato, arriva il momento in cui la sveglia ti dice “alzati dal letto e vai a fare il compito”. Tiri un pugno alla sveglia e ti incammini verso scuola.
Inutile tentare una disposizione strategica dei banchi, tanto cercare di copiare è vano e ti farebbe perdere almeno 10 dei 7200 secondi disponibili, il che è assolutamente sconsigliato. Arrivati al momento in cui ogni studente è seduto al suo posto, iniziano le preghiere o le imprecazioni ( dipende a cosa uno è abituato)  di incoraggiamento, gli inutili chiarimenti dell’ultimo secondo e le solite frasi fastidiose del tipo “in bocca al lupo”. Tutto accompagnato da uno stomaco che fa su e giù.
“Via!” dice la prof, e l’unico rumore che si sente è lo scrosciare dei fogli che vengono girati. Qui inizia il bello.
Guardi il testo, tenendoti un po’ a distanza, come se avesse la peste bubbonica; ti domandi se è matematica o cinese poi, con gran delusione, scopri che è la prima. Partono gli attacchi di panico. Si legge il primo esercizio, ma tanto è inutile, non si inizia mai dal primo che, non si sa perché, ha questa speciale tendenza a risultare inizialmente incomprensibile, e allora lo si lascia li; lo si farà dopo. Con grande forza d’animo si inizia, pronti col secondo e poi il terzo, quarto e quinto e così via; ma poi ti accorgi che un’ora è già andata (non si sa come)  e tra brutta e bella copia hai scritto solo qualche intestazione e qualche calcolo, rigorosamente sbagliato. Ora il panico e la tensione sono palpabili. Ti guardi intorno per rassicurarti un pochino, ma il primo che “becchi” è sempre il matematico della classe, fisso con lo sguardo sul compito, una mano sulla calcolatrice e l’altra attivamente impegnata nella scrittura; “Ma cosa sta scrivendo?”. Devi cambiare assolutamente soggetto se non vuoi che la tua autostima sparisca del tutto. Ed ecco che incroci gli occhi dello studente altamente stressato, quello ossessionato dal voto finale, che pensa più a come impostare l’interrogazione di recupero che a svolgere gli esercizi del compito, e che non fa altro che borbottare qualcosa tra sé e sé per tutto il corso delle due ore, per finire a passare gli ultimi 10 minuti a fissare con lo sguardo vuoto il foglio, senza provare più niente, come se avesse perso la vitalità. Allora ritorni al tuo  compito, e sorridi. Non sai perché stai sorridendo in un momento così drammatico, ma non riesci a farne a meno. I muscoli iniziano a rilassarsi, tutta la rigidità corporea svanisce e ridi. Ora stai meglio, la tensione è sparita e il senso di colpa apparentemente dimenticato. Manca mezz’ora e concludi il tuo compito. Al suono della campanella si sentono sempre le usuali grida di pietà. “ Ancora 5 minuti prof, la prego!”, uniti ad un inquietante rumore di fogli penne e calcolatrici che sembrano muoversi più veloci della luce. Prima di consegnare riguardi ciò che hai scritto, perplesso; dei pochi esercizi che hai concluso i risultati sono un po’ ambigui, soprattutto quello dell’ultimo esercizio (da sempre considerato impossibile da tutti gli alunni dello scientifico). Prendi una lente d’ingrandimento e cerchi di comprendere la tua grafia frettolosa, ma poi ti rendi conto che era meglio non farlo. “Mi sembra di aver inventato un nuovo numero”. Ma non importa ormai, consegni il compito alla prof, ovviamente il primo esercizio è ancora li che aspetta di essere svolto, e ti alzi. Manca solo un altro “tocco” di sofferenza per concludere, infatti, visto che noi umani siamo masochisti e attratti dal dolore, non possiamo fare a meno, dopo esserci alzati,  di andare dai matematici della classe a confrontare i risultati.Inizi a sbiancare, lentamente, mentre continui invano a sperare di aver sentito male. Vieni sommerso dal panico e dai sensi di colpa che la risata ti aveva portato via, ma poi ti riprendi e pensi:dopo tutto ho la prossima verifica per migliorare”. E’ sempre cosi, fino all’ultimo compito di maggio. Ma quello è un’altra storia, ora siamo a dicembre, magari per quel tempo la matematica sarà diventata il nostro mestiere. 

Luca Picotti 4^H

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