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Una “lezione” dal Congo

In situazioni di guerra, la forza nell’affrontare le sfide della vita non è facile da trovare.
Uno dei progetti a cui alcune classi hanno partecipato, è quello riguardante le guerre poco conosciute, nello specifico quelle in Congo, di cui troppa poca gente sa o vuole parlare.
L’intervento è stato tenuto dal missionario saveriano di origine congolese Raymond Tresor, il quale ha illustrato la tremenda situazione che ancora esiste nelle zone di guerra dalle quali proviene.

Sig. Raymond, a che livello è l’istruzione delle popolazioni nei luoghi di guerra?

Lì è difficile parlare di livello di istruzione. Nelle città ovviamente le scuole e le università funzionano normalmente, ma nelle zone lontane, di scuola non se ne parla neanche. Come fa ad andare a scuola un bambino che fugge dalla guerra tutti i giorni? È una situazione tremenda.

Cosa si sentirebbe di dire a noi studenti riguardo a tutte le atrocità delle guerre dimenticate? Ritiene che i mezzi di comunicazione ne parlino abbastanza?

Siccome i mezzi di comunicazione ne parlano poco, tocca a voi giovani parlarne. Il compito non è facile ma non è impossibile, e se non diciamo niente, saremo accusati dalle generazioni future di non aver agito per cambiare il mondo. Per farlo basta dire un semplice buongiorno a coloro con cui non abbiamo mai parlato o dare uno sguardo ai popoli lontani, accettando che la diversità non è un limite, ma una ricchezza.

Lei ha usato parole molto dure nei confronti dell’operato dell’ONU nelle zone di guerra, ritiene che le loro azioni facciano più del male che del bene?

La domanda è già una risposta, basta togliere il punto interrogativo. L’ONU spende tanti soldi per non fare nulla. La responsabilità certo non è solo dell’ONU ma anche dei congolesi, perché è facile accusare gli altri dimenticando la propria responsabilità. L’operato dell’ONU è scadente, ma lo è pure quello del governo congolese.

Secondo lei nel mondo uccidono di più le guerre o il Coltan?

Direi tutti e due. Ma di per sé il coltan non uccide, è la guerra che uccide. Anzi, direi che neanche la guerra uccide, ma il cuore corrotto dell’uomo. Quando l’uomo perde il senso della vita e quando l’umanità viene meno in lui, inizia a uccidere. L’uomo è stato creato per essere amato e le cose per essere usate. Il mondo va male perché l’uomo ha scelto di fare il contrario, ama le cose e usa l’uomo.

Com’è cambiata la sua vita al suo arrivo in Italia?

Tante cose sono cambiate. Già il fatto di incontrare una cultura diversa dalla mia ha cambiato il mio modo di “leggere il mondo”. Ho capito che in tutte le culture ci sono aspetti buoni. L’incontro crea l’uomo.

Sente molto la mancanza della sua famiglia?

Un po’ si, ma li sento sempre vicino a me tramite voi tutti con cui parlo oggi. Da missionario, cioè da uno che è chiamato ad abbracciare il mondo intero, in qualsiasi posto mi trovo, devo sentirmi sempre in famiglia.

Guardando indietro alla sua vita, ritiene che siano stati di più i momenti positivi o di difficoltà?

Io sono stato fortunato come pochi altri giovani della mia generazione, quindi posso dire che sono stati più i momenti positivi nella mia vita. Sono cresciuto in una famiglia normale, entrambi i miei genitori lavorano e quindi non mi è mancato nulla. Nonostante le guerre, noi che eravamo in città non abbiamo sofferto come quelli che fuggivano dai villaggi. Una cosa è essere colpiti, un’altra è vedere un parente, amico, o connazionale morire per difendere la sua dignità; è questo che mi ha fatto soffrire. Non possiamo esser indifferenti alla sofferenza e in un mondo dove l’economia e le finanze hanno precedenza sulla dignità umana, ci rimane solo la nostra voce, per quanto piccola sia. Credo in un mondo giusto.

Come mai ha deciso di parlare della sua esperienza di vita in alcune classi?

Ho preso questa decisione perché sono sicuro che il seme che ho messo in voi produrrà frutti, continuando il lavoro iniziato e facendo si che tutto questo non sia trascurato né dimenticato.

L’insegnamento più grande che ha ricevuto: in che occasione e da chi?

Innanzitutto dai miei genitori che mi hanno dato tutto, che mi hanno insegnato la vita. Poi viene la Chiesa nella quale ho imparato a vedere in ogni uomo il volto di Dio. Infine vengono tutti i professori che mi hanno dato il sapere; sono loro che hanno aperto la mia mente.

Dal suo intervento abbiamo appreso che lei è missionario, in cosa consiste questo ruolo?

Il mio ruolo, come per tutti i cristiani, è di annunciare il Vangelo, cioè portare speranza nel mondo; in altre parole significa fare degli uomini persone capaci di convivenze pacifiche, liberatrici e felici. Il vero significato di missionario sta proprio nella parola “AMORE”.

Le tre cose a cui non potrebbe mai rinunciare!

Fare il bene al prossimo, imparare sempre ed essere ottimista!


Greta De Sabbata 4^F



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