Non è
una novità che qualcuno si scagli contro l’austerità e contro un’Unione Europea
che sembra essere basata più su trattati economici che su ideali politici
condivisi. La vera novità è che per la prima volta, con l’elezione di Alexis
Tsipras, a capo di questa rivolta c’è il leader di un paese dell’eurozona che
minaccia di cambiare di tutto, di trasformare le critiche in contestazioni e le
proposte in azioni concrete.
I piani del nuovo governo prevedono spese massicce nel settore del welfare, tra cui la riassunzione di 12000 lavoratori pubblici e l’aumento delle pensioni e dei salari. Inoltre, Tsipras vuole frenare alcune delle riforme che la Grecia si era impegnata ad attuare in cambio dei prestiti da parte della Troika, l’organismo formato da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale, che nel 2008 la salvò dalla disfatta economica, e vorrebbe anche che almeno la metà del debito greco (che ora ammonta al 175% del PIL) venisse cancellata.
Per riuscire in questa ardua impresa la Grecia ha cercato l’appoggio di altri governi europei in vari incontri con le personalità dell’Unione. C’è chi ha mostrato un timido appoggio, forse più di facciata, al nuovo governo greco; Renzi ha regalato una cravatta italiana a Tsipras, invitandolo ad indossarla non appena la Grecia uscirà dalla crisi. Contemporaneamente però è giunta la dura risposta della BCE, che ha già attuato alcune manovre punitive nei suoi confronti, veri e propri ricatti secondo il ministro delle finanze greco.
La Grecia e la Troika potrebbero cercare un compromesso che eviti l’eventuale uscita della Grecia dall’Europa, che sarebbe negativa per tutti, e che solo il 25% dei greci vorrebbe. Tuttavia le posizioni radicali di un partito come Syriza mal si concilieranno con quelle della finanza, e difficilmente gli stati europei rinunceranno alla loro intransigenza economica: pacta servanda sunt. Tsipras chiede dunque tempo per pensare ad a una soluzione che impedisca che in Grecia si perda la fiducia nelle sue promesse e che in Europa ci si stufi delle sue richieste.
La guerra che Tsipras ha dichiarato all’austerità è legittima. La politica del
rigore ha dimostrato di non essere efficace, di mettere in ginocchio i paesi e
di condannarli a una crescita quasi inesistente e a una disoccupazione,
soprattutto giovanile, a livelli spaventosi. Ma è probabilmente una guerra
persa in partenza. La Grecia necessita disperatamente degli aiuti
internazionali, e da una tale posizione svantaggiata ha poco spazio per
questionare le condizioni imposte dai creditori. Chi dice che in Grecia non
comanda più il governo ma la Troika, con buona pace della democrazia, esagera,
ma non si allontana troppo dalla verità.
Questa situazione è l’inevitabile conseguenza delle falle strutturali insite nelle fondamenta stesse dell’Unione Europea: un’unione fiscale ma non politica, una creatura dalle ventotto teste che si muovono in modo diverso e guardando in direzioni diverse. La moneta comune comporta che si deve applicare un’unica politica fiscale per paesi resi diametralmente opposti dalla storia e dalle scelte politiche, ed è quindi difficile intervenire in modo mirato per assistere un paese in difficoltà. Agli stati dell’UE manca anche un senso di appartenenza comune che spinga tutti a sostenersi a vicenda nei fatti e non solo nelle parole: cancellare metà del debito greco significherebbe aumentare le spese degli altri stati, che probabilmente non sono disposti ad affrontare un tale dispendioso atto di solidarietà.
Finché non si creerà una vera comunanza di intenti tra gli stati dell’Unione sarà difficile cambiare la situazione; in mancanza di un organo di sovranità popolare forte a livello europeo, non stupiamoci se è un manipolo di tecnocrati a dettare legge e a porre le condizioni. Le nazioni si troveranno così nella situazione di dover scegliere tra seguire più o meno passivamente i diktat della Germania o abbandonarsi a qualche partito populista che con grande probabilità li condannerà alla disfatta totale.
Vedere Piazza Syntagma ad Atene gremita di gente, simbolo di un paese che non ha perso fierezza e combattività, potrà forse accendere un po’ di quello spirito europeo che manca, oltre alla speranza che presto la Grecia riesca a liberarsi dalla morsa della crisi e l’unica stretta sia quella del nodo della cravatta, rigorosamente italiana, al collo di Tsipras.
I piani del nuovo governo prevedono spese massicce nel settore del welfare, tra cui la riassunzione di 12000 lavoratori pubblici e l’aumento delle pensioni e dei salari. Inoltre, Tsipras vuole frenare alcune delle riforme che la Grecia si era impegnata ad attuare in cambio dei prestiti da parte della Troika, l’organismo formato da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale, che nel 2008 la salvò dalla disfatta economica, e vorrebbe anche che almeno la metà del debito greco (che ora ammonta al 175% del PIL) venisse cancellata.
Per riuscire in questa ardua impresa la Grecia ha cercato l’appoggio di altri governi europei in vari incontri con le personalità dell’Unione. C’è chi ha mostrato un timido appoggio, forse più di facciata, al nuovo governo greco; Renzi ha regalato una cravatta italiana a Tsipras, invitandolo ad indossarla non appena la Grecia uscirà dalla crisi. Contemporaneamente però è giunta la dura risposta della BCE, che ha già attuato alcune manovre punitive nei suoi confronti, veri e propri ricatti secondo il ministro delle finanze greco.
La Grecia e la Troika potrebbero cercare un compromesso che eviti l’eventuale uscita della Grecia dall’Europa, che sarebbe negativa per tutti, e che solo il 25% dei greci vorrebbe. Tuttavia le posizioni radicali di un partito come Syriza mal si concilieranno con quelle della finanza, e difficilmente gli stati europei rinunceranno alla loro intransigenza economica: pacta servanda sunt. Tsipras chiede dunque tempo per pensare ad a una soluzione che impedisca che in Grecia si perda la fiducia nelle sue promesse e che in Europa ci si stufi delle sue richieste.
Tsipras con la cravatta italiana, dono di Matteo Renzi |
Questa situazione è l’inevitabile conseguenza delle falle strutturali insite nelle fondamenta stesse dell’Unione Europea: un’unione fiscale ma non politica, una creatura dalle ventotto teste che si muovono in modo diverso e guardando in direzioni diverse. La moneta comune comporta che si deve applicare un’unica politica fiscale per paesi resi diametralmente opposti dalla storia e dalle scelte politiche, ed è quindi difficile intervenire in modo mirato per assistere un paese in difficoltà. Agli stati dell’UE manca anche un senso di appartenenza comune che spinga tutti a sostenersi a vicenda nei fatti e non solo nelle parole: cancellare metà del debito greco significherebbe aumentare le spese degli altri stati, che probabilmente non sono disposti ad affrontare un tale dispendioso atto di solidarietà.
Finché non si creerà una vera comunanza di intenti tra gli stati dell’Unione sarà difficile cambiare la situazione; in mancanza di un organo di sovranità popolare forte a livello europeo, non stupiamoci se è un manipolo di tecnocrati a dettare legge e a porre le condizioni. Le nazioni si troveranno così nella situazione di dover scegliere tra seguire più o meno passivamente i diktat della Germania o abbandonarsi a qualche partito populista che con grande probabilità li condannerà alla disfatta totale.
Vedere Piazza Syntagma ad Atene gremita di gente, simbolo di un paese che non ha perso fierezza e combattività, potrà forse accendere un po’ di quello spirito europeo che manca, oltre alla speranza che presto la Grecia riesca a liberarsi dalla morsa della crisi e l’unica stretta sia quella del nodo della cravatta, rigorosamente italiana, al collo di Tsipras.
Elias Ngombwa, 5^I
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