Non essendoci ancora nulla di interessante da proporre tra
le ultime novità, in questo numero proponiamo quattro album che rappresentano
rispettivamente quattro tappe fondamentali per la storia del campionamento.
Questo, detto anche “sample”, non è altro che una parte di un brano (o più in
generale un suono) già esistente che viene estrapolato dal proprio contesto per
essere riutilizzato in un altro. Una conquista faticosa, sia dal punto di vista
tecnologico che da quello legale, che ha però ampliato in modo incalcolabile le
possibilità di ricerca e sperimentazione e che ora è pane quotidiano tanto
nella musica da classifica quanto nelle avanguardie. Buon viaggio e buon
ascolto!
The
Residents – Meet the Residents (1974)
Tra i pionieri dell’utilizzo del sample come punto di
partenza per le proprie composizioni i Residents sono forse i più misteriosi e
affascinanti: proseguendo la lezione dei Faust nel loro omonimo debutto, i
nostri creano un vero e proprio linguaggio basato sui campionamenti, che nel
corso della carriera della band avranno i fini più disparati, dalla creazione
di opere sospese tra musica classica e rock sperimentale (Not Available) alla realizzazione sonora di un documentario sulla
vita nei pressi del Mar Glaciale Artico (Eskimo)
Meet The Residents,
l’esordio del gruppo, è una sorta di delirio lisergico imbevuto di pop culture,
i cui elementi vengono decontestualizzati divenendo inquietanti, mostruosi,
alieni. Trame sonore costituite da jingle pubblicitari, finta musica da
ascensore, passaggi classicheggianti che scimmiettano compositori moderni
dediti al mito dell'easy listening trasportano l’ascoltatore in una sorta di
astronave che percorre alla velocità della luce tutta la cultura di massa degli
anni ’60. I Residents processano la musica del capitalismo e la rielaborano con
il metodo del cut-up dadaista: la copertina (parodia di quella di Meet The Beatles!) ci introduce
graficamente al caleidoscopio di visioni aberranti che l'ascoltatore è forzato
a guardare dal suo piccolo oblò (non è fuori luogo un paragone col
"trattamento Ludovico" di Arancia Meccanica).
DJ Shadow – Endtroducing… (1996)
Joshua Davis, meglio noto come DJ Shadow, è stato il disc
jockey più importante degli anni ’90 e tra i più grandi innovatori del suo
tempo. Fu infatti il primo a realizzare un album interamente composto partendo
da samples, attingendo direttamente dalla propria collezione privata che conta
decine di migliaia di dischi.
In un momento di improvvisa stasi della creatività dell’Hip
Hop Endtroducing… riesce a
revitalizzare completamente un genere in modo quasi miracoloso, eliminando cioè
da esso la sua caratteristica più nota, il rapping: in questo modo,
concentrandosi puramente sulle basi, si supera qualsiasi concetto di politicizzazione o di impegno non solo del
genere, ma di un’intera forma artistica. DJ Shadow celebra il proprio amore
incondizionato per la musica, ci lascia un tributo a 360 gradi che attinge da
ogni possibile ricerca sonora del suo secolo e riesce a far convivere in un
modo completamente nuovo elementi con cinquant’anni di distanza tra di loro. Un
assurdo viaggio in cui ogni epoca confluisce in un'unica dimensione temporale,
tempo che, dopo alcuni slanci che lo accelerano (“The Number Song”), è
destinato a rallentare fino a fermarsi per un istante (“Midnight In A Perfect
World”) in cui, contemplando il panorama dell’eternità, ci si rende conto che Endtroducing… è l’apice assoluto del
concetto di collage musicale e una delle opere fondamentali della musica
contemporanea.
Four Tet – Rounds (2003)
Con Rounds, Four
Tet porta a compimento le idee abbozzate nell'esordio Dialogue e migliorate nel successivo Pause. I due dischi infatti, seppur discreti, non riescono sempre
nel loro intento di fondere campionamenti di chitarre folk, spruzzate di jazz
ed innesti di elettronica, elementi che qui trovano finalmente il giusto equilibrio.
Il disco si apre con un battito cardiaco, che subito
deflagra in uno spazio sonoro candido e luminoso, vibrante di vita. La stessa
atmosfera verrà poi riproposta in tutto il disco, talvolta con sfumature più
malinconiche (“Slow Jam”), talvolta con atmosfere più spensierate (“She Moves
She”). La caratteristica principale del sound è la sua organicità: i pezzi
respirano (“My Angel Rocks Back And Forth”), pulsano (“Hands”), si muovono
freneticamente (“Spirit Fingers”). Caratteristiche anomale per un disco di
musica elettronica, ritenuta per definizione sterile e fredda. I suoni
campionati sono perlopiù quelli di strumenti a corde, come chitarre acustiche
ed elettriche, arpe e sporadiche note di piano, ma troviamo anche campanelli
mossi dal vento e suoni di giocattoli.
Con questo lavoro Four Tet stabilisce uno standard della
folktronica/indietronica che non è ancora stato superato, né dai suoi
imitatori, né dallo stesso Four Tet, che è ormai nel suo declino artistico.
Oneohtrix
Point Never – R Plus Seven (2013)
Negli ultimi anni Oneothrix Point Never (moniker di Daniel
Lopatin) si è affermato come uno dei progetti più promettenti del panorama
della musica elettronica contemporanea. Lopatin aveva già sperimentato le
possibilità del sample come vero e proprio strumento (ricordiamo Chuck Person’s Eccojams Vol. 1 e Instrumental Tourist, quest’ultimo nato
dalla collaborazione con Tim Hecker) e una reinterpretazione dello space
ambient di scuola Tangerine Dream (Replica),
implementando alla sua musica un'estetica retrofuturistica (diventata virale
tramite i social network e ormai marchio di fabbrica del genere da lui stesso
creato, la vaporwave).
In R Plus Seven i
collage sonori diventano estremi tanto da apparire insensati esercizi di stile,
nei quali però è sempre nascosta una melodia o un ritmo. La paletta dei suoni
include spezzoni di pubblicità, canzoni pop decostruite e riassemblate
meticolosamente e sintetizzatori con suoni sempre al limite del preset. Le composizioni, salvo rari casi, sono prive
di una vera e propria struttura che non sia quella del flusso di coscienza o
dello zapping televisivo (“Americans”), e alternano momenti di grane serenità
(“Along”) a schizofrenia (“Zebra”), fino ad arrivare alla perfetta sintesi di
uomo e macchina (“Chrome Country”).
R Plus
Seven è
un'operazione artistico-concettuale che apre interessanti riflessioni circa il
rapporto musica-cultura di massa e il ruolo dell'arte nella società
postmoderna. Una pietra miliare dei nostri tempi.a cura di Matteo Nigris e Matteo De Cecco, 4^G
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