Intervista a Maurizio Mezzavilla,
il friulano Generale dell'Arma dei Carabinieri di Padova
Il generale Mezzavilla |
La
sicurezza è uno dei temi più sentiti ai giorni nostri e molte forme di crimine
si stanno evolvendo con le nuove tecnologie, riuscendo ad aggirare alcuni dei
controlli più importanti. Occuparsi della sicurezza pubblica di un paese
perciò, è uno dei compiti più difficili e complessi, portati avanti da
personalità il cui senso della giustizia e del dovere, sono a livelli molto
alti.
Una
persona che incarna in se queste importanti qualità, è il Generale del'Arma dei
Carabinieri di Padova, Maurizio Mezzavilla, 56 anni, sposato e padre di tre
figli, vanta tra i numerosi traguardi della sua carriera, il conseguimento di
tre lauree in Giurisprudenza, in Scienza della Sicurezza Interna ed Esterna,
quella in Scienze Internazionali e Diplomatiche, nonché il master in “Peace Building Management” presso
la Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura di Roma.
Un
uomo di grande esperienza che porta alta la bandiera della legalità in Italia da
oltre 30 anni, avendo ricoperto molte delle maggiori cariche istituzionali
dell'Arma dei Carabinieri, e che con affetto delle sue origini friulane
racconta: "Sono nato e cresciuto, fino al conseguimento della maturità
scientifica, a Gradisca di Sedegliano, una piccola - ma a me cara - località del Medio Friuli, con caratterizzazione
prevalentemente agricola." Terminati gli studi superiori avvenuti presso
il Liceo Scientifico Marinelli di Codroipo, ricordandolo come "istituto
che mi ha dotato di validi strumenti di conoscenza, consentendomi di affrontare
e superare le prime prove della vita”, l'allora giovane Mezzavilla, si iscrisse
presso l’Accademia Militare di Modena avviandosi così alla carriera all'interno
dell'Arma.
Il
Generale ha risposto ad alcune domande raccontando la sua esperienza di vita
nella consapevolezza dell’importanza del ruolo ricoperto, ma lasciando
trasparire grande attaccamento alla sua terra.
Lei
fino all’8.10.2013, ha prestato servizio presso la Capitale quale Comandante
Provinciale dei Carabinieri di Roma, e riguardo a questo periodo ci furono
valutazioni contrastanti sul tasso di criminalità nella città. Lei cosa ha osservato
durante il suo mandato?
La sicurezza è un bene di
rilevante importanza, premessa indispensabile allo sviluppo di qualunque
attività umana e sociale. Roma è una città stupenda, unica al mondo: ha segnato
per centinaia d’anni la storia del mondo allora noto e le tracce di quei fasti,
per chi passeggia nella Capitale, tuttora concorrono a realizzare una sorte di
museo all’aperto. Tuttavia Roma, come le
altre metropoli, è una realtà molto complessa nelle sue articolazioni, le cui
peculiarità devono essere affrontate con attenzione costante e con specifici
strumenti operativi. Le più significative sedi della vita politica e sociale
del Paese sono, di massima, ubicate a Roma (il Parlamento, il Senato, La Corte
Costituzionale, la Cassazione, ecc.), così come le Ambasciate degli altri
Paesi.
Pertanto, il dispositivo che i
Carabinieri dispiegano nella Capitale è di rilevante importanza ed opera in
stretta sinergia con le altre Forze dell’Ordine per garantire una migliore
copertura del territorio tesa a prevenire e reprimere i reati, garantendo
altresì l’ordinato svolgimento della vita civile. Si tratta di uno strumento
flessibile, baricentrato sull’efficiente vigilanza e servizio di prossimità ai
cittadini svolto delle Stazioni dell’Arma, le cui attività sono integrate dalle
veloci gazzelle del Radiomobile, che garantiscono una presenza nell’arco delle
24 ore con più pattuglie per turno. Nel
periodo in cui ho avuto il privilegio di assolvere l’incarico di Comandante
Provinciale di Roma, ho riscontrato una obiettiva ed apprezzata diminuzione complessiva
del numero dei reati, come emerso dalle statistiche del Ministero dell’Interno.
Tuttavia, in particolare in coincidenza a episodi violenti, la percezione da
parte dei cittadini e dei mass media è stata di opposta direzione; purtroppo,
la dimensione reale della delinquenza ed il modo con cui la collettività la
percepisce non sempre sono direttamente proporzionati. La sicurezza, il
sentirsi sicuri, senza preoccupazioni ( dal latino “sine cura”) costituisce,
legittimamente, l’ambizione primaria della nostra epoca; questo stato d’animo
non è sempre correlato all’arido, ma significativo linguaggio dei dati
statistici. L’obiettivo che ho cercato di perseguire durante il mio mandato era
orientato da un lato a iniziative operative tese a rassicurare i cittadini
mediante una fattiva presenza dell’Arma, dall’altro a assicurare alla giustizia
gli autori dei delitti, in particolare quelli più efferati. In tale settore i
miei collaboratori si sono dimostrati professionisti di assoluto valore, come le
cronache hanno più volte dimostrato.
Ritiene che il
patto "Roma Sicura" abbia aiutato le forze dell'ordine all'epoca? In
cosa consisteva nello specifico?
Con
il piano “Roma sicura”, le componenti istituzionali interessate , Il Prefetto,
i Presidenti della Regione e della Provincia e il Sindaco di Roma, secondo le
rispettive competenze, si impegnavano a concordare e a porre in essere un piano
di azione, basato su servizi tesi al contrasto dei fenomeni di devianza e di
degrado urbano che più direttamente incidono sulla sicurezza e sulla qualità
della vita della città e della Provincia di Roma, secondo un modello di
sicurezza partecipata, con specifico riguardo ai fenomeni dello sfruttamento
della prostituzione di strada, caporalato - che utilizza il lavoro clandestino
– l’accattonaggio, con impiego di minori e di disabili, la vendita delle merci
contraffatte e all’abusivismo commerciale, spaccio di droga e all’abuso di
superalcolici, ricettazione di refurtiva, furto di beni esposti alla pubblica
fede ed altro.
In
concreto, il piano prevedeva una programmazione settimanale di servizi, basati
sulle diverse competenze delle Forze di polizia e delle Polizie locali, nonché
sulla coordinata ripartizione dei servizi nelle aree di intervento, scelte tra
quelle a maggiore rischio. Per ciascuna area, i servizi venivano reiterati fino
a rendere visibile il controllo del territorio e a rendere effettiva la
bonifica dello stesso.
Considerato
che “l’unione fa la forza”, sicuramente l’iniziativa ha contribuito a rafforzare
l’impegno delle forze in campo.
“La
situazione della sicurezza pubblica a Roma e' complessivamente di buon livello.
L'attività di contrasto ai fenomeni predatori e' stata intensissima, tanto e'
vero che l'attività operativa ha registrato un notevole incremento in questi
tre anni, proprio nell'interesse dei cittadini, che a noi si affidano per la
sicurezza". Queste sono state le sue parole alle sue dimissioni da Roma
alla volta dell'incarico a Padova. Pensa di aver lasciato al suo successore una
città dove c'era ancora molto da fare?
I risultati conseguiti non hanno
potuto portato, cosa peraltro impensabile, ad una definitiva soluzione delle
complesse problematiche delinquenziali che, come noto, sono collegate al
continuo evolversi delle dinamiche sociali che sono in travagliata evoluzione,
come peraltro evidenziato dalle recenti notizie di cronaca. I responsabili pro
tempore delle varie forze di polizia hanno il compito di raccogliere l’eredità
di chi li ha preceduti e di perpetuare l’opera di prevenzione e contrasto ad
ogni forma di comportamenti antigiuridici.
Ora invece, a più
di un anno di distanza, come vede da un punto di vista esterno, la situazione
sicurezza nella Capitale?
Da semplice cittadino, ancorché
con un punto di vista professionale privilegiato, mi sembra di poter affermare
che l’invocato , diuturno e silenzioso impegno delle forze dell’ordine stia
continuando ad andare nel verso giusto della riconquista della sicurezza
partecipata a favore di tutti i cittadini.
Presumo
che la quantità di responsabilità che lei e i suoi uomini avete, sia molto
alta. Lei ha mai avuto il timore che alcune delle situazioni più complesse,
potessero non avere una soluzione?
La
consapevolezza delle responsabilità che gravano su chiunque debba attendere a
compiti onerosi implica la presa di coscienza dei propri limiti e degli
ostacoli che si incontrano lungo l’irta strada che conduce alla soluzione dei
problemi di cui viene chiesta la soluzione. Ciascun Comandante condivide con i
collaboratori che fanno parte della squadra l’ambizione di scendere in campo
per ottenere il miglior risultato possibile. Ed è grazie alla capacità di fare
squadra che le riflessioni sulle situazioni complesse nelle quali si viene
coinvolti, non prendono mai il sopravvento.
Molteplici sono le tipologie di crimini;
qual è stata la situazione più difficile che si è ritrovato ad affrontare nel corso della sua carriera?
Ogni situazione è
diversa dalle altre e anche quelle apparentemente più semplici sono, in realtà,
complesse; sottovalutare le problematiche criminose è sempre rischioso, non
potendo conoscere a priori le implicazioni nascoste, non possiamo graduare gli
approcci operativi e d’intervento in maniera differenziata. Ne consegue che le
problematiche odierne, che per quanto differenti da quelle di ieri, perché nate
e maturate in differenti contesti, sono comunque a queste analoghe e devono
essere affrontate con l’adattamento dello strumento info-investigativo alle
specificità del momento, ma con la stessa determinazione. Anche in Veneto,
quindi, ci troviamo ad affrontare situazioni che, con i dovuti peculiari
adattamenti al contesto socio-economico-culturale, non sono dissimili a quelle
affrontate nelle mie precedenti sedi di servizio.
Lei
ha prestato servizio in molte località e città diverse come Messina e Roma; ha
notato differenze nel suo ambito lavorativo e nella sicurezza tra queste città
diverse?
Il lavoro del Carabiniere, fatto
di professionalità, impegno, iniziativa, spirito si sacrifico e di servizio, è
lo stesso in ogni parte d’Italia e anche all’estero. Non vorrei correre il
rischio di ripetermi, ma ogni realtà ha le proprie peculiarità che la rendono
unica come unico è il modo di svolgere il proprio compito per un Carabiniere.
Una problematica di poco conto per la realtà di Messina può essere importante
per la realtà di Padova e viceversa. Se il problema c’è ed esiste, va
affrontato e risolto con lo stesso impegno. Questa è la mission del Carabiniere.
Durante
il suo discorso di insediamento al comando della Legione Carabinieri a Padova,
aveva annunciato che in cima ai suoi obbiettivi nel nuovo incarico, ci
sarebbero stati quelli di incrementare l'azione di contrasto ai reati predatori
specialmente nei confronti delle rapine in villa e degli istituti di credito,
senza dimenticare i reati come l'usura e lo spaccio di droga. A distanza di
poco meno di un anno e mezzo da allora, se dovesse esprimere un giudizio in
relazione alle priorità che si era prefissato, come lo riassumerebbe?
Raccogliendo l’eredità di chi mi
ha preceduto ho inteso richiamare l’attenzione di quanti operano sul territorio
del Veneto che la contingente situazione geo-criminale ci imponeva un ulteriore
sforzo nell’affrontare la tentacolare realtà delinquenziale. Confortato dalla
immediata e totale disponibilità di tutti i Carabinieri della Regione Veneto,
la squadra che ho il privilegio di guidare ha saputo profondere ogni ulteriore
energia investigativa che ci sta portando ad ottenere lusinghieri risultati
alcuni dei quali, ripresi anche di recente dai mass media, sono sotto gli occhi
di tutti.
Quante
persone ha sotto il suo comando nel suo attuale incarico?
Come noto, i dati relativi agli
organici delle Forze di Polizia sono riservati. Possiamo dire che, per
assolvere le funzione dirigenziale a Roma e quelle attuali, mi avvalgo della
collaborazione di qualche migliaio di militari dell’Arma nei vari gradi.
Quale
e quando è stato il primo incarico che ha ritenuto importante della sua
carriera?
Tutti sono stati parimenti
importanti perché ciascuno appartiene ad una stagione della mia vita,
professionale e personale e a tutti sono particolarmente affezionato. Ciascun
incarico contribuisce a elevare la professionalità dell’Ufficiale e a
consolidarne l’esperienza. Inoltre, i frequenti trasferimenti di sede, pur gravosi
sotto l’aspetto della gestione familiare, hanno il pregio di far conoscere in
profondità le varie realtà ed anime del nostro Paese e, all’estero, di
confrontarsi e conoscere le procedure in uso presso altre forze di polizia.
Come
è nata la passione per questo lavoro che richiede molta responsabilità e senso
della giustizia?
Sono nato e cresciuto, fino al
conseguimento della maturità scientifica, a Gradisca di Sedegliano, una piccola
- ma a me cara - località del Medio Friuli, con caratterizzazione prevalentemente
agricola. La civiltà contadina che ha connotato la mia educazione si ispira al
senso di solidarietà, alla correttezza dei rapporti interpersonali, al senso
della giustizia. Fin da piccolo, poi, amavo ascoltare, affascinato, i racconti
di mio zio Antonino che aveva svolto servizio nell’Arma ed era stato impiegato
anche in servizi nel palermitano e nel viterbese. Inoltre, crescendo, mi aveva
colpito l’emblematica figura del Comandante della Stazione Carabinieri di
Codroipo, il Maresciallo Pietro Venezia, persona autorevole, competente e
discreta, che peraltro ha istruito la mia domanda per il concorso di ammissione
all’Accademia Militare di Modena. Quindi, in un momento difficile della storia
nazionale quale quello dei c.d. “anni di piombo”, ho maturato il desiderio di
far parte di una Istituzione che incarna il senso della giustizia e
dell’impegno a favore del Paese.
Se
ora avesse la possibilità di scegliere la zona in cui prestare servizio,
sceglierebbe quella in cui è ora? Se no, sceglierebbe un incarico in Italia o
all’estero?
Non ho mai scelto una zona, una
sede o un comando dove prestare servizio. Andrei ed andrò dove la mia
Istituzione mi chiamerà ad operare, in relazione alle esigenze contingenti.
Il quartier generale SHAPE a Mons |
La
sua esperienza all’estero è stata quella del Comando della Compagnia di Polizia
Internazionale presso il Supremo Quartiere Generale Alleato (SHAPE) di Mons, in
Belgio. Che ricordi ha di quel periodo?
L’esperienza maturata a presso il
Supremo Comando delle potenze Alleate in Europa (traduzione dell’acronimo
SHAPE) in Belgio è stata di estremo interesse anzitutto perché mi ha consentito
di conoscere l’organizzazione di forze di polizia di 13 Paesi stranieri. In precedenza avevo avuto modo di affinare la
lingua inglese, conditio sine qua non per
l’impiego all’estero, a Comiso, in provincia di Ragusa, all’epoca dello
schieramento della base NATO. Molto interessante è stata anche l’esperienza
maturata a Sarajevo nella veste di comandante del Reggimento MSU (Multinational Specialised Unit), nell’ambito
dell’operazione di pacificazione condotta dall’Alleanza Atlantica nell’ex
Yugoslavia. Tutte queste attività,
nell’accrescere la mia esperienza professionale e umana, mi hanno fatto
comprendere quanto sia apprezzato il contributo delle Forze Armate italiane in
teatri operativi all’estero, in particolare la specifica attività svolta dai
militari dell’Arma.
Alla
luce di quanto successo a Parigi lo scorso mese, come vede sotto questo punto
di vista la sicurezza nella zona di sua competenza?
Il terrorismo internazionale si
connota per una matrice
confessionale, fenomeno che
dall’inizio del 2014 si è arricchito di nuovi fattori di complessità che
contribuiscono a rendere la minaccia d’ispirazione quaidista ancor più pervasiva, in una prospettiva al tempo stesso
globale e locale. Si è giunti ad una piena “glocalizzazione” del
terrorismo qaidista, come
quotidianamente dimostrano le forti interazioni tra l’evoluzione della
situazione nelle aree di conflitto, il quadro della sicurezza globale, le
progettualità terroristiche nei Paesi occidentali.
Nello scenario
globale, l’Italia, i Paesi europei e l’Occidente in generale sono obiettivo
dichiarato di un complesso di attori sempre più interconnessi gli uni agli
altri. Ne consegue che non ci possiamo sentire o ritenere aprioristicamente
esenti da questi pericolo. Massima è l’allerta e l’attenzione che viene posta
anche a questo fenomeno da parte di tutti attori del sistema sicurezza.
Secondo
lei sono importanti le iniziative che talvolta vengono promosse negli istituti
di tutta Italia per la diffusione della cultura della legalità?
La
cultura della legalità è un preziosissimo patrimonio che dobbiamo saper
trasmettere ai giovani. Va a loro affidata e con loro condivisa. Dobbiamo farla
crescere in loro e con loro crescere a nostra volta. L’Arma dei Carabinieri da
sempre agevola ed incoraggia queste iniziative mediante incontri nelle scuole
di vario ordine e grado. In tale quadro, sono frequenti anche gli incontri
organizzate con le c.d. fasce deboli, in particolare con gli anziani e le donne
allo scopo di dare consigli pratici in materia di prevenzione dei reati,
specialmente quelli orientati a truffe di vario genere, furti, borseggi,
stalking.
Dove
vede il suo futuro? C'è qualcosa, qualche obbiettivo, lavorativo e non, che
vorrebbe raggiungere nei prossimi anni?
Come già detto, il mio futuro
sarà dove il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri intenderà avvalersi del
mio contributo professionale.
Che
consiglio si sentirebbe di dare ai ragazzi che vorrebbero intraprendere una
carriera come Carabiniere?
Anzitutto sconsiglio di aspirare
di far parte dell’Arma dei Carabinieri per soddisfare mere esigenze
occupazionali, ancorchè si tratti di una professione di rilievo e prestigio.
Se, invece, si condividono ideali come quelli di giustizia, lealtà, spirito di
servizio e di sacrificio, il desiderio di fare il Carabiniere diventa una
passione, non un semplice lavoro, ma quasi una missione. Se un giovane desidera
fortemente votarsi al servizio del nostro Paese e dei propri concittadini, se
aspira a dare il proprio contributo al bene comune con dedizione ed umiltà,
allora sussistono le premesse affinché sia buon Carabiniere.
Greta De Sabbata,
4^F
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