"148 is not just a number!", l'urlo dei manifestanti dopo la strage di Garissa |
Questo piccolo paese, incastonato tra Uganda e Congo, fu 21 anni fa scenario di uno dei più terribili spargimenti di sangue della storia. Quasi un milione di Tutsi (forse più noti con il nome italianizzato “Watussi”) furono sterminati dagli Hutu, nella quasi indifferenza degli stati Occidentali, o quantomeno del Consiglio di sicurezza dell’ONU. I due gruppi etnici convissero pacificamente per secoli, finché i colonizzatori belgi decisero di adottare anche qui la gretta mentalità razzista tanto in voga a quei tempi e supportata da schiere di scienziati. I tutsi, più alti e dinoccolati, dai lineamenti più europei, e mediamente più ricchi e colti, vennero scelti per fare da classe dominante nella nuova colonia. Fu sancita una superiorità razziale ovviamente intollerabile per la maggioranza hutu del paese, che originò le prime frizioni tra i due gruppi. La contrapposizione tra le due etnie fu fomentata sempre più: quando i tutsi guidarono il Ruanda all’indipendenza, i belgi cambiarono alleanza, favorendo gli hutu e costringendo molti tutsi a rifugiarsi nei paesi confinanti, senza però sedare il loro desiderio di rivalsa. Nel 1994 si raggiunse l’apice delle tensioni: l’odio verso i tutsi, alimentato dalle radio che diffondevano inviti alla violenza e allo sterminio, convinse molti hutu a fornirsi di mazze e uccidere i vicini di casa tutsi, e tra un colpo e l’altro si superò presto le ottocentomila vittime.
L'ambizioso progetto del governo ruandese per lo sviluppo di Kigali |
Elias Ngombwa 5^I
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