Nel
settecento lo scozzese Adam Smith maturò una teoria economica, quel liberismo
che avrebbe poi innescato un processo di trasformazione irreversibile non solo
nel mondo del mercato, ma nella società stessa, nei singoli individui. La sua
“new economy”, ormai matrice della nostra ideologia comune, si fonda su un
paradosso etico-morale particolarmente interessante. Per affrontarlo, si
potrebbe fare l'esempio del parallelo tra Wall Street (finanza) e Main Street
(economia reale). Affinchè quest'ultima – che rappresenta i lavoratori comuni-
possa ottenere un vantaggio, è necessario un precedente arricchimento della
prima: in questo modo, l'azione finalizzata ad uno scopo giusto, si rivela
sbagliata nelle sua fondamenta. La legge di Say e l'economia keynesiana, nella
loro diversità, sono due facce della stessa medaglia. Una medaglia ormai
logorata e zoppicante, arenatasi nei suoi stessi meccanismi perversi. La crisi
finanziaria del 2008 ( la famosa bancarotta della Lehman Brothers), ha sancito
la definitiva fossilizzazione di questa economia virtuale che, partendo come una
Ferrari nel dopoguerra, ha indubbiamente perso almeno due ruote durante il
tragitto.
Il capitalismo occidentale -analogo alla
democrazia nella definizione “è il meno peggio”-, ha riscontrato il suo
successo nella società odierna grazie al suo funzionamento conveniente, che
risparmia lo Stato da eccessivi investimenti e ne incrementa i guadagni con
l'egoismo dei singoli (egoismo per il semplice fatto che nasce dal bisogno
dell'individuo di creare un'impresa per mantenersi). Andando più in profondità,
è d'obbligo sottolineare anche le virtus del cosiddetto capitalista; ambizione,
coraggio, creatività e intraprendenza. Valori indispensabili per affrontare il
mercato lavorativo odierno, scriverebbe Lawrence Klein, nobel per l'economia
nel 1980.
Vi
sono però dei “mostri”, conseguenze inevitabili di questa “macchina del cash”,
metaforicamente rappresentabili come dei sassolini sotto le ultime due ruote
funzionanti della Ferrari. Il denaro, così libero e privatizzato, ha creato un
fenomeno di dipendenza tra Schiavo e Padrone, in termini Rousseauiani. Il
Padrone decide quando e come investire, lo Schiavo aspetta, quando e come
lavorare. E dal 2008 lo Schiavo sta aspettando, ininterrottamente.
Focalizzandoci
sulla nostra realtà italiana, non possiamo illuderci che quella ricrescita
economica tanto inneggiata dal Governo si possa realizzare. Perchè ormai il
capitalismo italiano (forse anche mondiale?), ha raggiunto il suo anno zero,
come scrive Massimo Giannini. Il “capicomunismo” asiatico ci ha travolti,
inglobati nella sua ascesa disumana; e i nostri “big industriali” sono stati
svenduti da tale concorrenza (Telecom), o definitivamente ghigliottinati dalla
corruzione interna (Eni, Finmeccanica). I dati positivi del 2015, non sono
altro che cuciture, per evitare che l'emorragia interna dilaghi. La ripresa può
esserci, ma non si tornerà mai ad “un'età dell'oro”. Si può perfezionare,
migliorare, ma non sognare il capitalismo perfetto, perchè nella definizione
stessa vi sono radicati i difetti insanabili.
E'
lecito – seppur cinico- affermare che il Governo ha ragione ad agevolare la
figura dell'imprenditore, con sgravi fiscali (decontribuzione, riduzione
dell'Irap ecc). Perchè l'occupazione non si crea con le regole e i diritti dei
lavoratori come ritiene il gruppo più radicale del sindacato (è triste
affermarlo, ma dobbiamo essere realisti), ma con l'investimento, con le imprese
che assumono. Inutile è quindi l'ostruzionismo a prescindere della sinistra
tradizionale per le riforme come il jobs act, perchè, in un modello liberale,
sarà sempre essenziale un’agevolazione per il Padrone, affinchè si arricchisca
(nei suoi limiti) lo Schiavo.
Davanti
a questo teatro delle ingiustizie si può reagire in due modi. Si può continuare
a sognare, vivendo nella speranza di un'utopia comunista, come Marx
nell'ottocento e Badiou nel novecento. Oppure si può accettare le cose,
rassegnarsi, cercare di migliorare un sistema marcio ma non totalmente
sconfitto, un sistema che ci mette però di fronte all'iniquità.
Come
direbbe un noto cantautore italiano: “Coraggio liberisti buttate giù le carte,
tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese, in questo benedetto assurdo bel
paese!”.
Luca Picotti 4^H
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