di Carlo Selan 5^E
“Pronunciare
la verità è un piccolo gesto, in fondo. La vera sfida è accettarla. E, ancora
di più, accoglierla come propria storia personale. Perderò delle amicizie,
delle relazioni. Ma non mi importa. L’ho messo in conto. Soltanto la libertà
può liberare il mio paese.”. (L’ultimo lenzuolo bianco: l’inferno e il cuore
dell’Afghanistan, Farhad Bitani)
Una storia di contrasti. La
guerra e le ideologie sullo sfondo di una terra strana, colma di memorie come
l’Afghanistan. La parabola di un uomo che nel breve tempo della sua giovane
vita ha potuto venire in contatto con le forme più estreme di due pensieri, due
culture diversissime, l’Occidente e il Medio Oriente, di un ragazzo che nella
sua infanzia ha vissuto la guerra da vincitore, nell’adolescenza da perseguitato
e da oppositore attivo, nella maturità, dopo aver abbandonato le armi e con il
suo bagaglio di dolori e consapevole responsabilità, da rifugiato politico in
Italia predicando e invocando alle persone la pace, raccontando nella scuola la
propria esperienza, testimoniando la speranza.
Farhad Bitani, classe 1986, non è
uno che ha paura di dire la sua, di rischiare in prima persona, lo si capisce
da come scrive, da come parla. Forse perché tutto il male e il dolore che
poteva provare l’ha già subito. Forse perché si è reso conto che testimoniare
senza mezzi termini la verità è l’unica via percorribile, in questo mondo ce n’è
già fin troppa di falsa e cattiva informazione.
Le parole di Farhad non possono
lasciare indifferenti, sono scomode, costringono a riflettere. Il suo
linguaggio semplice e senza compromessi lascia senza fiato, un pugno nello
stomaco. È l’evidenza del fatto che una persona non può essere giudicata in
base alla religione che professa o a ciò che in un passato magari non molto
lontano ha commesso perché chiunque può cambiare, rendersi conto dei propri
sbagli, è la testimonianza della necessità del perdono e della comprensione
reciproca in una società come la nostra che ci vuole divisi e schierati uno
contro l’altro per renderci più manipolabili, un messaggio vivissimo di
speranza, questa parola così anacronistica ormai passata di moda, un invito
alla riflessione e alla necessità del parlarsi, del confrontarsi.
Ho avuto l’occasione di porre
alcune domande a Farhad dopo averlo ascoltato parlare durante la conferenza
organizzata nel nostro Liceo dalla professoressa Costanza Travaglini. Ci siamo
parlati guardandoci negli occhi, con semplicità. Questo è ciò che resta di quel
momento:
Secondo te com’è possibile
affrontare la questione dell’integrazione tra culture diverse nella società
occidentale?
Tutto si gioca in una sola
parola: capire. Sforzarsi di comprendere il diverso, questo è l’importante.
Prima di giudicare, di affermare le proprie tesi bisogna prima aver tentato per
lo meno di comprendere le esigenze dell’altro, questo in tutto, non solo nei
confronti degli stranieri provenienti da altre culture.
Bisogna smetterla di dare ascolto
soltanto ai media che manipolano le informazioni, le truccano ad arte per farci
restare in uno stato di tensione. Dobbiamo provare, metterci in prima persona nella
ricerca di un dialogo, di un reciproco scambio.
Ma con chi assume posizioni
fondamentaliste è realmente possibile un dialogo?-
Allora,
innanzitutto è bene ricordare il fondamentalismo non è soltanto nell’Islam come
invece molte volte i Media vorrebbero farci credere, ogni pensiero, ogni
ideologia porta con sè una carica potenziale di fondamentalismo. Ancora una
volta l’unica risposta possibile all’atteggiamento dei fanatici e l’apertura al
dialogo, mai la violenza, io l’ho provata, so a che cosa porta. Non è vero che il dialogo con il
fondamentalismo è impossibile, semplicemente nessuno ci ha mai realmente
provato. Guardate me, sono nato e cresciuto in un ambiente fondamentalista e
con una cultura profondamente estremista eppure ora sono qui a parlare con voi,
a raccontarvi i miei sbagli senza paura di ammetterli.
Ma di fronte a un fenomeno come
quello dell’Isis?
L’Isis
non va considerato solamente come un gruppo religioso fondamentalista, in
realtà è un gruppo terroristico con delle precise strategie e intenzioni di
carattere economico e politico, è un fenomeno che nasconde molto altro. Non
bisogna chiudersi verso queste persone che combattono, bisogna prima di
condannarli perlomeno sforzarsi di ascoltare le loro ragioni, seppur assurde
che siano, provare a mostrar loro perché la violenza non è mai la soluzione
migliore. Io sono la testimonianza della possibilità del cambiamento nella
mentalità di chiunque. Ma prima di cambiare gli altri dobbiamo sforzarci di
cambiare noi stessi. È
molto difficile, un problema di centinaia di anni, il male non dura mai tanto,
la storia lo conferma, nessun Dio vuole la cattiveria né il fondamentalismo.
Gli strumenti per far iniziare da
entrambe le parti questo dialogo?
Persone
come me dovrebbero sforzarsi di raccontare la loro esperienza senza paura,
dovrebbero scrivere libri, mostrare come il cambiamento è possibile. Educare le
nuove generazioni è fondamentale.
Proprio
per questo Farhad Bitani ha scritto un libro provando a mettersi a nudo, con
sincerità. Il testo si chiama “l’ultimo lenzuolo bianco: l’inferno e il cuore
dell’Afghanistan” e vale davvero la pena di essere letto per lo meno per non
rimanere chiusi nei nostri sciocchi e aprioristici giudizi. La speranza non è
necessariamente una presa in giro, a volte anche la realtà lo dimostra.
Ringrazio l’amico Giovanni Conoscienti per il suo indispensabile aiuto
Commenti
Posta un commento