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Diritti umani e la Cina

Il 12 novembre 2013 a Ginevra avrà luogo l’elezione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, l’organismo nato nel 2006 in sostituzione della Commissione per i diritti umani che ha come mandato quello di supervisionare ed informare l’opinione pubblica circa le eventuali violazioni dei diritti umani nei Paesi aderenti all’ONU. Ad accendere i riflettori su questo evento (il cui interesse è di solito paragonabile solo alle diete ipocaloriche, alla cabala o ai grammys latinoamericani) è però la candidatura di Paesi che poco hanno a che vedere con i diritti umani, come la Russia e la Cina. In particolar modo contro quest’ultima si sono scatenate le critiche dell’opinione pubblica e di molti Stati occidentali, che hanno subito avanzato
comprensibili rimostranze in merito alla repressione attuata contro qualsiasi forma di dissenso. Già i governi di Canada, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Giappone, Nuova Zelanda, Polonia, Stati Uniti, Regno Unito, Svizzera, Svezia, Islanda e Austria hanno infatti richiesto formalmente al governo cinese di garantire libertà politica, religiosa e associativa, con un occhio di riguardo per le minoranze etniche tibetana e uiguri, entrambe vittime di politiche oppressive. In concreto questo si dovrebbe tradurre in varie misure: abolizione del lavoro quale forma di rieducazione dei detenuti (eufemismo con cui si allude a campi di lavoro forzato, come diceva qualcuno il lavoro rende liberi); abolizione del sistema a partito unico (il partito comunista è l’unico ammesso); eliminazione della censura di internet e di tutti i mezzi d’informazione; abbandono dei pestaggi e degli arresti preventivi quali forme di mantenimento dell’ordine pubblico.
Questi sono solo alcuni dei motivi per cui non solo in Occidente, ma anche in patria, la candidatura è fortemente osteggiata, soprattutto dai tanti attivisti per i diritti civili che la reputano paradossale se non addirittura offensiva e provocatoria nei confronti del loro quotidiano impegno. Fra questi c’è anche Mo Shaoping, avvocato che nel 2008 difese Lu Xiaobo, attivista e premio Nobel per la pace nel 2010 attualmente in carcere oramai da 5 anni. Mo è chiaro quando dice che non solo la situazione in Cina dal
punto di vista dei diritti umani è ancora drammatica, ma che negli ultimi anni è perfino peggiorata. Con l’elezione a presidente della Repubblica popolare di Xi Jinping, infatti, la repressione si è acuita, come dimostra il grave arresto di Xu Zhivong, in prigione da agosto perchè fondatore del movimento ‘Costituzione aperta’ che chiede lo stato di diritto. Il paradigma continua dunque ad essere sempre lo stesso: la forza come unico strumento di “dialogo” con chi protesta e dissidenti che affollano sempre più le carceri del Paese.
Questa situazione è portata all’estremo in Tibet, ovviamente il principale motivo di imbarazzo per il governo
cinese che, pur tentando di censurare le notizie, non è mai riuscito a spegnere l’interesse dell’Occidente verso la patria del Dalai Lama, occupata oramai da oltre 50 anni. Nella regione l’uso della lingua tibetana viene sistematicamente soppresso, le tradizioni cancellate, le persone vengono obbligate a
lasciare le proprie case, gli spostamenti e la religione sono controllate e regolate. Tuttavia Pechino non sembra aver notato la palese contraddizione fra le proprie politiche interne e la candidatura al Consiglio per i diritti umani, poiché la delegazione cinese giunta a Ginevra per sostenerla ha presentato un documento in cui si afferma che “oggi il Tibet si sta sviluppando economicamente, sta facendo progressi politici, ha una cultura fiorente, una società armoniosa e un ambiente buono; il suo popolo è felice e gode di buona salute". In questo scenario che ci parla di una regione bucolica abitata da un popolo felice e spensierato, però, sono stati dimenticati, certamente un’accidentale distrazione, gli oltre 120 monaci buddhisti che negli ultimi tre anni si sono dati fuoco per protestare contro l’occupazione della propria terra da parte dell’esercito
cinese. Magari non sarà un dato significativo ma si spera che in base a dettagli come questo verranno scelti i nuovi membri del Consiglio per i diritti umani dell’ONU.


Saverio Papa 5^G

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