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UN PARADISO SCONOSCIUTO (PARTE 2)

“Una delle frasi che mi rappresentano e che ripeto spesso è questa: «Chi beve l’acqua dello Zambesi assieme al latte materno non potrà più abbandonare l’Africa». È un proverbio del mio paese, ma è anche quello che è capitato a me.(…) Non mi allontano mai dall’Africa per lunghi periodi, ma quando lo faccio sento la mancanza soprattutto della gente, della gente africana, popoli meravigliosi.” (Wilbur Smith.)

Ed è proprio dalle magiche sponde del fiume Zambesi che inizieremo il nostro viaggio. Circa a metà del corso del fiume, nella zona nord-ovest dello Zimbabwe, si trova una delle Sette meraviglie del mondo, che la gente del posto chiama semplicemente Mosi-oa-Tunya, che sta per “il fumo che tuona”. La leggenda narra che David Livingtone, esploratore scozzese che le scoprì nel 1855, commentò in questo modo lo spettacolo che gli si presentava dinanzi: “È una scena così bella che dev’essere stata guardata dagli angeli nel loro volo”. Fu così che egli decise di ribattezzarle “Vittoria”, in onore della sua regina. Le cascate Vittoria, alte circa 108 metri e larghe 1.7 km, possono essere, a mio avviso, descritte solo attraverso delle cifre. Credo che ammirarle dal Victoria Falls National Park (che si trova giusto di fronte), con gli spruzzi d’acqua che bagnano la pelle riscaldata dal sole, con il rumore dell’acqua che “cade” e gli occhi pieni di una meraviglia unica e ineguagliabile, sia uno spettacolo indescrivibile, capace di investire tutti i sensi e di lasciare lo spettatore letteralmente senza fiato.
Lasciando a malincuore le Cascate, ci spostiamo al confine con il Botswana, dove, ai lati della strada che collega Bulawayo alle Cascate, si trova il Hwange National Park, una delle riserve faunistiche più importanti dell’intero continente africano. Nato come riserva di caccia personale del re degli Ndebele, Mzilikazi, e convertito a parco nazionale nel 1930, oggi ospita oltre 100 specie di mammiferi, circa 400 di uccelli ed è ‘casa’ della più grande popolazione di elefanti del mondo, circa 30.000. Il parco si estende su una pianura di 15.000 km², territorio comparabile per estensione alla nostra Calabria. L’elefante, membro ad honorem dei cosiddetti “big five” (elefante, leone, leopardo, rinoceronte e bufalo), è da sempre uno degli animali più affascinanti che esistano.
“Mamma ho paura!” dissi, stringendomi alla sua schiena. Stavo “cavalcando” un elefante! I suoi movimenti, lenti e prevedibili, mi apparvero delicati e gentili, come una culla. L’elefante si voltò a guardarmi, bambina di dieci anni. Ricordo il suo sguardo curioso e dolce, il riflesso della savana nei suoi occhi. Gli alberelli, l’erba secca. Pensai a quanto cieco è l’uomo, a quanti elefanti morivano ogni giorno per le loro corna d’avorio. Pensai alla nobiltà d’animo di quest’animale, dotato di una forza devastante e alla sua “disumana” sensibilità, alla sua volontà di non voler far del male a nessuno. Mi strinsi forte alla sua groppa, facendo diventare indelebile quel ricordo nel mio cuore.
Una delle mete che maggiormente mi emozionano, sono le Colline di Matobo. Ci troviamo a sud di Bulawayo, ed è impensabile come a soli 35 km dalla città, si trovi un paesaggio così unico e mozzafiato. Gli esperti ci dicono che le colline si formarono circa 2 miliardi di anni fa ed ora, grazie all'erosione, hanno assunto una forma simile alla schiena di una balena, coperte da massi in equilibrio precario, gli uni sugli altri, e costellate da “macchie” di vegetazione. Mzilikazi, diede alla zona il nome che significa “Teste Calve”. L’Unesco nel 2003 inserì le Colline tra i patrimoni dell’umanità.
Ogni qual volta mi capita di salire su queste “colline”, penso alle nostre colline friulane o alle colline toscane piene di verde. Il paesaggio qui è totalmente diverso: l’erba non è più composta da ciuffi che spuntano dalla terra, ma appare come una pennellata sulla roccia fatta da un pittore distratto. Del verde non resta che la savana in lontananza, dei fiori nulla più una pennellata gialla o rossa sul granito. La leggenda narra che Cecil John Rodes, governatore del allora Rodesia, si sia innamorato di questo multiforme paesaggio a tal punto che lo scelse come luogo adatto per la sua sepoltura. Le chiamò “View of the world”, e credo che non vi siano al mondo parole più adatte per descriverlo.
Ho sempre pensato che se mai sia esistito un paradiso dell’Eden, questo si trovasse entro i confini tracciati a matita dello Zimbabwe. È incredibile come un posto così lontano possa rimanere nel cuore. Perché il mio cuore è là, tra le colline di granito di Matobo, tra i fiori di jacaranda di fronte alla casa dei nonni, con gli animali dell’orfanotrofio di Chipangali, con i bambini dei villaggi, con gli uccelli che volano nel cielo. Dietro le iridi dei miei occhi brilla l’Africa. Se la dignità, la felicità e la salute si potessero comprare, le regalerei alle genti africane, perché nessuno più di loro se le merita.


Micol Sartori 4^P

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